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Manifestazioni, ma è troppo presto per l’Iraq

In Iraq scoppiano le stesse rivolte che hanno incendiato gli autocratici regimi al potere in diversi Stati del Maghreb e del Vicino Oriente tra il dicembre 2010 e il gennaio 2011. Le proteste irachene hanno inizio il 17 febbraio. E’ infatti da quel giorno che si registrano i primi segnali di malcontento nel Paese. A sud di Bagdad, quasi duemila manifestanti incendiano due palazzi governativi e protestano contro continui blackout alla rete elettrica, i tagli alla rete idrica e le conseguenze di una corruzione che ormai si è cronicizzata in ogni aspetto della vita civile. In quegli incidenti tra polizia e manifestanti rimangono ferite una cinquantina di persone, di cui anche una dozzina di agenti. Intanto, a Suleimanya, nel Kurdistan iracheno, un manifestante rimane ucciso e trentatré rimangono feriti in scontri scoppiati durante dimostrazioni contro l’inflazione e per la richiesta di riforme, nel corso delle quali i manifestanti tentano anche di prendere d’assalto la sede del Partito democratico del Kurdistan dell’allora presidente curdo iracheno, Massud Barzani.

La "giornata della rabbia"

La “giornata della rabbia” irachena verrà messa in scena il 25 febbraio, quando in migliaia di occupano le strade di Bagdad, Bassora e Kirkuk per manifestare contro la corruzione e contro l’incapacità del primo ministro Al Maliki. La folla chiede anche di avere più voce in capitolo per la scelta dei propri governanti. Quel giorno, violenti scontri avvengono anche a Mosul, nel nord del Paese, così come nella capitale, dove nella piazza Tahrir si radunano cinquemila persone che lanciano pietre e bastoni contro le forze di sicurezza le quali rispondono aprendo il fuoco sui manifestanti. Un gruppo di loro marcia verso la Green Zone, l’area fortificata dove si trovano l’ambasciata americana e il Parlamento iracheno. A sera, si conteranno 5 morti a Bagdad e 14 nelle città di Mosul, Hawija, Kirkuk, Samarra e Calar. I feriti sono centinaia, e quattro edifici pubblici incendiati. Il giorno dopo, alcuni manifestanti attaccano la raffineria di Baiji, la più grande del Paese, a circa 150 chilometri da Bagdad, che viene chiusa dopo l’esplosione di un grosso deposito di carburante.

Le dimissioni del sindaco

In realtà, le manifestazioni non coinvolgono mai folle oceaniche, come avverrà invece nel 2019. Tuttavia, l’ondata di proteste farà cadere qualche testa, sia pure non di peso, quale quelle del sindaco di Baghdad e di un paio di governatori costretti a rassegnare le dimissioni. Il 4 marzo migliaia di iracheni tornano in strada per un altro venerdì di protesta, sempre nella centrale piazza Tahrir della capitale, mentre a Bassora le forze di sicurezza usano idranti per disperdere la folla assiepata davanti all’edificio del Consiglio provinciale. Manifestazioni si registrano anche a Hilla e Nassiriya malgrado il divieto di circolazione stabilito non solo nella capitale ma in diverse province del Paese.

Gli intellettuali di Falluja

Il 7 marzo un’ultima manifestazione della primavera irachena si svolge a Bagdad, mentre a Falluja centinaia d’intellettuali, capi tribali e disoccupati protestano nel centro della città contro la corruzione. Senza tuttavia ottenere né la caduta del governo Maliki né nessuna riforma di peso che migliori la vita degli iracheni. Perché ciò avvenga gli iracheni dovranno aspettare altri 8 anni.

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