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I poeti dell’Underground che stregano Londra

LONDRA – Tutti sanno cosa vuol dire undeground dal punto di vista culturale: un movimento, un autore, un’opera, considerati alternativi, innovativi, fuori dal canone, dunque per l’appunto “sotterranei”, per restare al significato letterale del termine. Ma adesso a Londra esce un libro di poesie dove la parola va presa veramente alla lettera: gli autori sono infatti due ferrovieri dell’Underground, il nome – diventato un logo di successo – della metropolitana della capitale, la più antica del mondo.
Si intitola All on the board (editore Yellow Kite, 288 pagine), traducibile in “tutto sulla lavagna” e allusione a All aboard, il proverbiale “tutti a bordo” che il conducente del treno rivolge ai passeggeri prima della partenza. Il libro nasce davvero da una lavagna, anzi lavagnetta, quella di plastica messa solitamente all’ingresso delle stazioni della Tube, il soprannome del metrò londinese, per avvertire gli utenti di ritardi, chiusure o problemi. In alcune stazioni, c’è l’abitudine di aggiungere a questi avvertimenti una frase del giorno, una citazione famosa. Qualche anno fa, due dipendenti dell’Underground hanno cominciato a scrivere sulla lavagna dei versi frutto della loro personale ispirazione. Si firmavano @allontheboard, oppure, alternativamente, N1 e E1, gioco di parole su due noti codici postali della città, che possono essere letti come abbreviazioni di No one (nessuno) e Every one (tutti).
Naturalmente hanno dovuto chiedere un’autorizzazione a Transport for London, l’agenzia municipale che controlla i trasporti pubblici nella metropoli: il primo che passa non può scrivere quello che vuole sulle lavagnette della Tube. Dopo qualche perplessità, l’agenzia ha dato il permesso. Il successo è stato immediato: ogni volta che sulla lavagna compare una poesia, si formano capannelli di passeggeri intenti a leggerla. Bisogna dire che gli inglesi, memori dei loro grandi poeti come Byron e Shelly, per tacere dei sonetti di Shakespeare, amano la poesia forse più di altri popoli. E aggiungere che di poesia sull’Underground ne circolava già anche altra: versi di famosi poeti di tutto il mondo, affissi sulle pareti delle carrozze, tra una pubblicità e l’altra. Evidentemente anche quelli apprezzati, perché l’iniziativa prosegue da anni, sempre con nuovi poeti.
Ma quelli sono poeti affermati. I due poeti ferrovieri appartengono invece di nome e di fatto alla categoria underground. Rimasti a lungo anonimi, si sentivano “il Banksy del metrò”. La pubblicazione del libro li ha costretti a gettare la maschera: si chiamano Ian Redpaht, di mestiere conducente del treno, e Jeremy Chopra, bigliettaio. In comune hanno la passione per la poesia e uno sguardo solidale sul variopinto genere umano che passa loro davanti: i 4 milioni di passeggeri al giorno della Tube (diminuiti del 90 per cento durante il primo lockdown e tuttora inferiori di un terzo alla media).
Ritengono che la loro poetica missione sia sollevare il morale dei viaggiatori, per cui le loro poesie parlano di vagoni strapieni, pendolari che si sentono male andando al lavoro, piccoli e grandi incidenti avvenuti laggiù, nella Londra delle gallerie e delle scale mobili sottoterra. O di come ci vuole poco a sentirsi meglio dopo una dura giornata: “Put the kettle on and make a cuppa, it’s the perfect lipper upper, a nice brew can make things better, and can also quench your thirst” (Metti il bollitore sul fuoco e preparati una tazza, è perfetta per ridarti un contegno, un tè rende tutto migliore e può anche dissetare).
Nel suo numero doppio di fine anno, l’autorevole settimanale Economist ha dedicato una recensione ai “misteriosi poeti dell’Underground”, notando che hanno fan in mezzo mondo. A dimostrazione che la poesia, se uno sa cercarla, si può trovare dovunque. Anche su una lavagnetta del metrò.Original Article

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