"Io non posso mollare i miei clienti e quindi, appena si saprà qualcosa di più preciso prepareremo i kit di Natale e Capodanno, sottovuoto e con le istruzioni, e tornerò a fare il fattorino, il 24 per chi fa la cena di Natale e poi per San Silvestro e Capodanno”. Monica Capurro, titolare del ristorante Santa Monica, non si perde d’animo e si prepara a passare queste festività natalizie tra una consegna e l’altra per accontentare i suoi clienti. Uno “zoccolo duro” che, non appena messo sui social l’ipotesi di un “Pranzone” di Capodanno, per sostituire la tradizionale cena del 31, aveva fatto a gara per avere un tavolo, così come negli altri giorni attorno al Natale. Adesso, con le nuove regole potrebbe cambiare nuovamente tutto e la cosa che preoccupa di più i ristoratori è propio il clima di incertezza. “Se questa chiusura serve per evitare la terza ondata la faremo – dice Capurro – ma se devo proprio chiudere preferirei farlo direttamente dal 24 al 7 gennaio, perché così come si va a delineare non riesci ad organizzarti, il 24 chiudi, il 27 apri, poi richiudi. Noi siamo ristoranti seri, dobbiamo programmare, non è che vado comprare al negozio sotto casa, se perdiamo un ordine rischiamo di non avere approvvigionamenti per una settimana”. Ma quello di Monica Capurro è solo un esempio di ciò che sta vivendo questa categoria che da mesi è in una sorta di limbo, tra chiusure, aperture, limitazioni di orario.
“Siamo veramente arrabbiati perché questa situazione è devastante sia per noi – spiega Matteo Losio, titolare del ristorante Bruxaboschi e Presidente dei ristoratori di Fipe Confcommercio – che per i nostri clienti che ci chiamano per sapere se siamo aperti o chiusi. Io sto ancora prendendo prenotazioni, che sono tante perche la gente ha voglia di uscire, ma se si chiude chiamerò tutti per disdire. Il vero problema è che rischiamo di perdere nuovamente un periodo fantastico dell’anno e questo è pesantissimo. Già la chiusura alla sera rasenta la follia ma non sapere se siamo aperti a Natale una settimana prima è assurdo, avvilente, pesante, e per tanti anche letale perché iniziamo a sentire molti che pensano di dare indietro le licenze”. I ristoratori di Fipe Confcommercio, quindi, hanno preparato una lettera con le loro richieste al governo. “La categoria non vuole essere il capro espiatorio di chi non è riuscito a governare una pandemia”, scrivono, proponendo misure ancora più severe come i tamponi nel drive through di Confcommercio Salute e i controlli dell’applicazione dei protocolli da parte di un ente certificatore in cambio della certezza di poter lavorare.
“Se il Governo pensa sia più prudente chiudere – concludono – proceda pure, ma ci ristori al 100% e immediatamente, altrimenti ci lasci lavorare in sicurezza, come abbiamo sempre fatto”. E proprio il tema dei rimborsi è uno dei nodi più complessi perché, dicono i ristoratori, rispetto agli altri paesi l’Italia ha avuto rimborsi inferiori al 5% mentre in Germania si arriva al 75% degli incassi. “L’apertura a mezzo servizio – aggiunge Biagio Peres, titolare del ristorante Al Veliero e referente dei ristoratori Confesercenti – non è assolutamente sufficiente nemmeno per coprire i costi. Per il pranzo di mezzogiorno si spende meno, non fai fronte ai costi di gestione e, nonostante qualche ristoro sia arrivato, non siamo ancora riusciti a coprire le spese pregresse. Stiamo cercando di sopravvivere ma non so quanti riusciranno ad arrivare alla prossima primavera. Anche perché Natale, Capodanno e la prima settimana di gennaio, davano incassi elevati, cosi come a marzo aprile e maggio, che per i ristoranti del centro città rappresentano il 40% del fatturato. Con le chiusure della primavera e queste rischiamo di perdere la metà degli incassi, Siamo con l’acqua alla gola, e qualcuno è anche già affondato”.
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