ROMA – In un’Italia istituzionalmente inquieta per via dell’aria di crisi che tira, c’è un’istituzione che tiene i piedi per terra ben saldi. Legata alla sua tradizione, ma anche al senso di responsabilità di chi continua a vivere il suo ruolo nei tormentati mesi del Covid. Perché fare il giudice delle leggi comporta equilibrio, equanimità, ma anche il coraggio di guardare ai diritti, sostenendoli anche a rischio dell’impopolarità, compreso quello di bocciare la politica se ha sbagliato nel tradurli in legge.
È in questa Corte costituzionale che domani, nell’arco della mattinata, va in scena un rito, l’elezione di un nuovo presidente. Senza tensioni tra i giudici. Senza gialli, né stuzzicanti retroscena. Anche se un nuovo vertice del palazzo che può tenere in scacco la politica – basti pensare alle tante bocciature delle leggi elettorali – rappresenta sempre una notizia. Ma la Corte costituzionale marcia tranquilla verso l’elezione del suo quarantaquattresimo presidente. Fu Enrico De Nicola il primo nel 1956. E adesso tocca a Giancarlo Coraggio, un consigliere di Stato che di quella istituzione è già stato al vertice tra il 2012 e il 2013.
Giusto ieri era il compleanno di Coraggio, 80 anni ben portati, e lui l’ha trascorso al lavoro, con una pausa di relax per colazione. Come tutti sanno e tutti confermano sarà lui il nuovo presidente. E come Repubblica ha anticipato all’inizio di dicembre, questo passaggio di consegne, nel palazzo del giudice delle leggi, sta per avvenire all’insegna dell’understatement. Certo, ci sarà una votazione alle 10 e trenta, ma il risultato è già scontato. I singoli consensi andranno a questo magistrato che con fare giovanile gioca tuttora a tennis. Una toga a cui – per usare il gergo sportivo – piace cambiare campo di frequenza, tant’è che nella sua vita è stato un giudice ordinario, ma anche un giudice contabile, e pure un giudice tributario. E quando gliel’hanno offerto, non ha detto no a fare anche il giudice sportivo.
Una toga che, nelle due occasioni pubbliche che gli sono state offerte, ha salutato affettuosamente il suo predecessore, il giudice della Cassazione Mario Rosario Morelli che dopo tre mesi di presidenza lascia la Corte dove ha trascorso oltre 30 anni della sua vita professionale, prima come assistente e poi come giudice. E Coraggio, pur tra le polemiche per via della presidenza breve di Morelli, non gli ha fatto mancare parole di stima professionale e di affetto personale. Un duetto – “Caro Mario…caro Giancarlo” – tra signori che ha lasciato un segno di una concreta eleganza istituzionale alla Corte.
giustizia
di
Liana Miella
E adesso che per la presidenza è solo questione di ore, nel palazzo ci si avvia alla transizione senza strappi. Soprattutto bocciando come un’immotivata indiscrezione quella che vorrebbe presentarla come l’ennesima “guerra” per la presidenza. Da una parte lui, Coraggio, dall’altra Giuliano Amato, il “tutto” della politica italiana, ma oggi un giudice molto riservato, molto presente nel palazzo, per nulla protagonista, lui che lo è stato da leader socialista e da uomo di governo, nonché da professore del diritto e della politica, per tutta la vita. Amato non è candidato alla presidenza. Non corre, né briga per ottenere quell’incarico. Anche se su lui si intrecciano i più intricati retroscena. Come quello di volergli attribuire l’intenzione di essere al vertice della Corte nel momento in cui – a gennaio del 2022 – si dovrà scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Ma i fatti non stanno così. Perché in privati conversari Amato ha spiegato di voler semplicemente continuare a fare il suo lavoro nei due anni che gli restano alla Consulta. Quindi sette mesi in più rispetto a quelli di Coraggio. Il quale vedrà scadere i suoi nove anni il 28 gennaio del 2022, mentre Amato resterà alla Corte fino al 12 settembre di quello stesso anno.
E se le tradizioni hanno un senso, di sicuro Amato continuerà a essere il vice presidente come lo è stato con Morelli. E tutti già sanno nel palazzo che sarà Coraggio a nominarlo. Per la cronaca inoltre – ed è importante ricordarlo – proprio quando fu eletto Morelli il 16 settembre, Amato non fece mistero di aver votato già in quella situazione per Coraggio. Il suo non era un no a Morelli, ma un voto per evitare alla Consulta le polemiche su una presidenza breve che, vale la pena di ricordarlo ancora una volta, oggi non comporta emolumenti aggiuntivi di alcun tipo, né tantomeno fantomatiche auto blindate con autista. Quei tempi ormai sono passati.
Ma questo venerdì della Consulta segna anche un’altra tappa storica. Quella di ben quattro donne giudici sui 15 componenti. Silvana Sciarra, Daria de Pretis, Emanuela Navarretta. E dai ieri, dopo il giuramento al Quirinale, la quarta donna, la giudice della Cassazione Maria Rosaria San Giorgio, per di più la prima donna che la Suprema corte manda alla Consulta, come hanno ricordato gli ex colleghi del Csm che ieri le hanno rivolto un affettuoso saluto seguiti, al Colle, dai vertici della Cassazione Pietro Curzio e Giovanni Salvi.
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