È il giorno dell'incontro Conte-Renzi. Passaggio chiave della verifica di governo ma inutile illudersi: non sarà un faccia a faccia a chiudere la partita, non è una finale di coppa e non ha senso attendere un verdetto stasera. Renzi arriva all'appuntamento con una lettera, anticipata oggi da Repubblica, nella quale sono elencati tutti i punti sui quali Italia viva chiede al premier di impegnarsi. Conte si presenta fresco del successo diplomatico per la liberazione dei pescatori detenuti in Libia, uno dei temi sui quali Renzi aveva attaccato il governo nel suo intervento in Senato il giorno del voto in aula sulla riforma del Mes. La battaglia è anche mediatica, anzi fin qui soprattutto mediatica.
Il premier cerca di declassare le richieste dei partiti della maggioranza a paturnie politiciste e giochini da Prima Repubblica, l'ex premier si premura di spiegare che a lui le poltrone non interessano. Cosicché colui che meno vuole il rimpasto, Conte, dice pubblicamente di non aver nulla in contrario se i partiti glielo chiedono. E colui che più lo vuole, Renzi, sostiene che del rimpasto non sa che farsene. Somiglia alla scena del Divo in cui Andreotti e Forlani si palleggiano l'ambizione del Quirinale dicendosi entrambi pronti ad appoggiare l'altro. Solo che Conte non è Andreotti, Renzi non è Forlani e i partiti del 2020 non sono quelli del 1992, comunque si voglia giudicare ciascuna di queste difformità. Sia Conte sia Renzi rischiano di essere vittime del proprio personaggio: il primo perché l'esperienza gli ha insegnato che può rafforzare il suo potere fondandolo sulle divisioni dei partiti, ma l'esperienza può essere cattiva consigliera; il secondo perché il suo personaggio di guastatore della politica ha reso sempre più complicato scindere il merito delle sue idee dal metodo con cui è solito gettarle nel dibattito pubblico.
La forza della lettera di Renzi è nell'invocazione di chiarezza su alcune questioni che il governo ha fin qui affrontato con la discutibile arte del rinvio e della dilazione, la stessa che sta surrealmente trascinando la definizione delle regole anti-Covid per il Natale a ridosso della vigilia. La debolezza sta proprio, come spesso accade a Renzi, nella sua soggezione al populismo che dice di combattere: perché negare la necessità di cambi nel governo se ritiene che alcuni ministri non siano all'altezza? Perché utilizzare il termine "poltrone", come un Toninelli, parlando di ruoli decisivi per il raggiungimento degli obiettivi elencati? Per invertire la marcia, servirebbe qualche incontro segreto in più e qualche vertice formale in meno, abbattere la curva degli spin per giornali e siti e concentrarsi su pochi ma chiari punti condivisi di programma.
La verità, invece, è che persino la verifica di governo, quella che in teoria dovrebbe sottrarre il governo alla sua impasse, è condotta con le stesse armi che l'impasse l'hanno provocata: la ricerca di consenso immediato, l'ansia di comunicare e apparire anziché fare, il tentativo reciproco di schiacciare l'avversario su posizioni caricaturali, un minuetto di tweet, interviste, apparizioni tv che rilanciano la palla nel campo dell'avversario ma che in realtà sono come la partita a tennis di Blow up, quella in cui la pallina è immaginaria e tutti mulinano a vuoto la propria racchetta.
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