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In questi mesi abbiamo parlato molte volte di antitrust. Forse possiamo proprio dire che la ragione ontologica di questa newsletter, del focus sulla questione dell'attenzione, è nella nuova battaglia antitrust. La questione è così seria che gli Stati stanno pensando di riscrivere le regole dell'economia di mercato perché temono che così non si possa più andare avanti.
Probabilmente non ricorderemo il 15 dicembre come un giorno decisivo, ma è la data in cui dopo grandi fughe in avanti e tentennamenti, l'Unione europea ha avviato il processo per riscrivere le regole del gioco nella sfera digitale. La riforma europea chiarisce che il digitale viene considerato come un'industria, e che come tale deve essere regolata. Dopo la fase delle multe (e a volte della caccia alle streghe), si passa a un codice che ambisce a diventare un punto di riferimento.
Prima, i fatti. La Commissione ha presentato due proposte: il Digital Services Act e il Digital Market Act. La prima riguarda gli obblighi delle piattaforme digitali in materia di contenuti illeciti, e ha delle implicazioni importanti, ma oggi ci occupiamo della seconda, che vuole regolare il mercato.
Le ho definite proposte, perché così prevede la procedura dell'Unione: la Commissione presenta un testo. Poi il Consiglio (dunque i governi) e il Parlamento europeo (dunque i deputati eletti) hanno il compito di discutere e infine adottare le proposte. Se Consiglio e Parlamento non trovano un accordo nemmeno nella seconda lettura, si avvia un comitato ad hoc. Tutto questo per dire che il processo è lungo e tortuoso, perché democratico, ma alla fine, tra anni, probabilmente, porterà a una legge che andrà rispettata. O se non altro a dei principi a cui attenersi.
Ecco i punti fondamentali che ho trovato nel testo:
- Vengono definiti i gatekeepers, chiamati così proprio perché sono guardiani dell'attenzione dei consumatori. Sono motori di ricerca, social network, società di cloud computing o pubblicità digitale: devono avere più di 45 milioni di clienti, dunque più del 10% della popolazione europea, e ricavi per almeno 6,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni, oppure una capitalizzazione di 65 miliardi. Hanno una "forte posizione economica sul mercato". Stiamo parlando di Alphabet (Google), Amazon, Microsoft, Facebook, Apple e pochi altri. L'unico campione digitale europeo considerato gatekeeper, a guardare i numeri, potrebbe essere Spotify, ma quella dei media è una partita diversa (e il gruppo della musica tifa per le nuove regole, in primis per la guerra del 30% sugli store digitali).
- Le norme riguardano, per esempio, l'offerta di servizi propri o di terze parti a clienti esistenti. Un utente Google dovrà poter vedere anche l'offerta dei servizi concorrenti. Gli utenti dovranno poter scegliere le app pre-installate. I gatekeepers dovranno garantire l'interoperabilità o la portabilità dei dati da una piattaforma all'altra. Il diavolo è ovviamente nei dettagli: in molti casi già oggi Big Tech offre questi standard semplicemente perché il consumatore lo esige; l'industria preferisce competere sul prezzo. L'Unione europea vuole però indicare un livello minimo. Un caso interessante sarà quello dell'App Store di Apple, mercato nel mercato;
- Uno dei punti più controversi riguarda l'obbligo di condivisione di alcuni dati degli utenti con le piattaforme concorrenti. Era stato fatto filtrare a settembre come grande novità, ora non se ne parla nello specifico;
- Se queste norme sulla concorrenza saranno violate, sono possibili multe fino al 10% del fatturato globale;
- Se un gruppo riceve tre multe in cinque anni, potrebbe essere obbligato dall'Unione europea a cedere dei rami d'azienda. È lo scenario spezzatino che fa molto discutere, perché lo spin off di rami d'azienda non fa per forza male agli azionisti e a volte non risolve i problemi di concorrenza.
Siamo di fronte a una trattativa lunga, appena iniziata, in cui sperabilmente si ragionerà senza ideologie.
Un mese fa scrivevo:
L’Unione Europea si è mossa costantemente negli ultimi anni con diverse indagini che hanno portato Google a pagare multe per 8,2 miliardi di euro: il motore di ricerca ha contestato le decisioni, pagato il conto, e poi ha continuato a crescere. Anche di fronte all’esito dubbio di queste indagini, dagli interventi antitrust si passa a un nuovo schema, ovvero si pensa a scrivere nuove regole. Sono percorsi lenti e tortuosi, dunque la vera novità sembra essere (finalmente) una nuova consapevolezza del mercato.
Spiega il mio collega Alberto D'Argenio, corrispondente di Repubblica da Bruxelles:
La Commissione Ue ha realizzato che agire ex post con indagini mediatiche e multe miliardarie non riesce ad aprire il mercato digitale. Si chiederà quindi alle aziende provvedimenti ex ante: se non si conformeranno agli obblighi, subiranno sanzioni.
Questo spiega alcune cose, ma non tutte. Molte domande rimangono senza risposta.
- La prima domanda è per forza: funzionerà? L'obiettivo del decisore politico è chiaro: garantire la concorrenza ed evitare che i più piccoli (spesso europei) non riescano a competere con le grandi piattaforme. È indubbio però che Big Tech sia diventata Big per ragioni soprattutto sistemiche, per la facilità di investire, per la possibilità di fallire, per un mercato nazionale come quello degli Stati Uniti. Big Tech non è diventata Big per decreto. È giusto prendere atto che sia Big ma bisogna tenere d'occhio le conseguenze impreviste: proprio perché parliamo di grandi aziende, non avranno alcun problema ad adeguarsi a tutte le norme necessarie. Aggiungere nuove regole è tipicamente un problema per i più piccoli, perché non hanno la struttura per assoldare legali ed esperti. Proprio per questa ragione le regole riguardano solo i grandi, e non dovremmo dunque assistere al paradosso del Gdpr, quando le regole sulla privacy volute dall'Europa avrebbero nei fatti favorito i più grandi.
- È però giusto dividere il mercato tra grandi e piccoli? Che effetti avrà sui medi che stanno per diventare grandi? Qualche gruppo extra-europeo rinvierà lo sbarco nel continente per il timore delle nuove regole? Questo, paradossalmente, non garantirebbe nuova concorrenza.
- Soprattutto: è giusto dividere tra online e offline? Scegliere arbitrariamente la soglia della "grandezza" significa, per esempio, escludere i gruppi non-digital (first) della grande distribuzione, che tipicamente sono nazionali (e stanno arrivando online). Stiamo tornando a dire che "piccolo è bello", o per lo meno che "nazionale è bello", dopo aver spinto per qualche decennio le aziende a diventare efficienti e ragionare su economie di scale?
- In sostanza, ha senso parlare di mercato digitale quando il motivo per cui si interviene a gamba tesa è la pervasività del digitale nell'economia reale, nel commercio, nei servizi? È insomma giusto trattare il digitale come un'industria a parte quando sembra più l'infrastruttura su cui si muove il resto dell'economia?
- Dobbiamo parlare della Cina? Mi spiego meglio: l'intervento su Big Tech punta a risolvere una stortura del mercato digitale (e dunque del mercato). L'altra stortura evidente di questi anni è la presenza di operatori che possono offrire prodotti o servizi con costi fuori mercato (5g, remember?) perché sono supportati dal gigante mercato interno cinese (e per essere importanti nel mercato cinese devono parlare con il partito).
- Che ne dice Joe Biden? L'approccio non sarà ideologico, è stato assicurato, ma è un fatto che la gran parte delle aziende coinvolte siano americane. A Washington e persino nella Silicon Valley hanno altri pensieri, al momento, ma se l'Unione europea andasse allo scontro e forzasse lo spezzatino, la relazione speciale che Biden dice di voler ripristinare subirebbe una ferita.
- L'Europa ha fatto l'Europa, ovvero ha descritto la realtà con la forza della legge. È persino possibile che gli Stati Uniti, che sono ancora nella fase delle indagini e delle multe (sia su Google che su Facebook) seguiranno, alla fine, il modello europeo. Ma come farà il vecchio continente – se non è troppo tardi – a trovare un vero protagonismo digitale?
Nel corso degli anni la pressione sulle società tech è cresciuta, semplicemente perché le società tech sono diventate sempre più importanti e trasversali. Torniamo alla domanda di cui parlavamo a ottobre: quanto grande è troppo grande? Nel testo della Commissione ci sono finalmente dei numeri. Vedremo se sono davvero i numeri giusti.
Grazie per aver letto fin qui. Aspetto i tuoi commenti a b.pagliaro@repubblica.it. Su Twitter e Instagram mi trovi come @bpagliaro.
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