ROMA – Sono destinati a diventare l’avanguardia delle nuove operazioni militari nel Pacifico, per lanciare la sfida americana alla Cina. E allo stesso tempo fare da apripista alle esportazioni italiane nel settore, soccorrendo i fatturati nella stagione nera del Covid. Due decisioni del Pentagono presentate negli scorsi giorni possono rappresentare un trampolino di lancio sui mercati mondiali per Iveco Defense, divisione del gruppo Cnh, e per Fincantieri. La prima riguarda i Marines, che hanno dato il via libera alla produzione su larga scala del nuovo blindato anfibio Acv: un veicolo corazzato con otto ruote motrici, capace di muoversi in mare e poi avanzare sul terreno.
Si tratta del mezzo da sbarco tipico delle prime ondate d’assalto sulle spiagge, come avveniva a Iwo Jima e Guadalcanal, garantendo la sopravvivenza dell’equipaggio e la possibilità di proseguire verso l’entroterra: il “cavallo di battaglia” dei Marines. Che dopo una selezione durata anni hanno scelto un progetto italiano, derivato dai blindati Freccia del nostro Esercito già provati sul campo in Afghanistan: veicoli con una struttura speciale per resistere all’esplosione di mine, capaci di navigare con a bordo 13 fanti equipaggiati e poi muovere su strada a cento chilometri orari. Il Pentagono ne ha inizialmente comprati 30, sottoponendoli per due anni a ogni genere di prova, e adesso ha deciso la costruzione in serie con l’obiettivo di riceverne altri 204. In più ha firmato opzioni per altri 300 esemplari. I mezzi verranno costruiti dagli impianti statunitensi della Bae Systems: si stima che il valore globale del programma possa toccare 1.200 milioni di dollari. All’Iveco di Bolzano oltre a ricche royalties va il marchio di fornitore dei Marines, che può aprire le porte dei mercati internazionali.
L’altro annuncio del Pentagono può determinare prospettive ancora più remunerative. Prima di lasciare la Casa Bianca, l’amministrazione Trump ha varato un piano per dotare la Us Navy di 500 navi entro il 2035. Un programma che per almeno per i primi anni condizionerà anche la presidenza Biden e che si incardina sulle fregate Constellation costruite da Fincantieri.
Dopo una gara molto combattuta, l’azienda triestina ha ricevuto una commessa per venti esemplari da realizzare nel suo impianto americano Marinette Marine: ognuna dovrebbe costare intorno agli 800 milioni di dollari. Anche in questo caso, si è rivelato vincente il fatto che fossero unità lungamente provate: si tratta di una versione delle Fremm, progettate da Italia e Francia. L’Us Navy è convinta che siano i mezzi ideali per rispondere all’espansione navale cinese e sfidare le “fortezze missilistiche” realizzate da Pechino nelle isole artificiali che controllano le rotte chiave del traffico mercantile. Per questo in una delle sue ultime iniziative di governo, il ministro della Difesa Mark Esper ha pianificato di aumentare l’acquisto delle fregate Fincantieri fino a 38 esemplari. Una previsione inclusa nel bilancio presentato proprio ieri dall’amministrazione uscente. Ma al Pentagono molti ritengono che per tenere testa alla flotta cinese siano necessarie ben 70 Constellation. Tanto che il sottosegretario alla Marina Kenneth Braithwaite ha ipotizzato la creazione di un programma internazionale per la produzione, che ricalchi quello degli “aerei invisibili” F-35: solo che in questo caso al centro ci sarebbe un mezzo Made in Italy.
Anche se la costruzione di così tante fregate dovrebbe richiedere il coinvolgimento di altri impianti negli Usa, i guadagni per la casa madre resterebbero altissimi. E Fincantieri si trasformerebbe nel produttore della nave militare più diffusa del pianeta, mettendo anche gli stabilimenti nazionali in una posizione di forza nelle esportazioni. Ovvio che un simile scenario non piaccia ai rivali, in Europa e in America, pronti a criticare la bontà del progetto “straniero”. La tecnologia italiana si è imposta nel settore più selettivo e competitivo del mondo, quello delle forniture al Pentagono, ma senza un raccordo tra istituzioni e aziende — quello che spesso viene chiamato “sistema Paese” — rischia di restare esposta ai colpi, spesso bassi, della concorrenza.
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