LA PRIMA in Europa è stata la Gran Bretagna, l’8 dicembre. Ma le vaccinazioni sono partite già anche in altri paesi, come negli Stati Uniti. A gennaio 2021 sarà il turno del resto d'Europa. Eppure c’è chi lancia in questi giorni un allarme: la distribuzione dei vaccini sarà così impegnativa quanto lo è stato il loro sviluppo e, nell'immediato, non sarà per tutti.
Uno studio appena pubblicato sul British Medical Journal (Reserving coronavirus disease 2019 vaccines for global access:cross sectional analysis) mette in guardia sul rischio che quasi un quarto della popolazione mondiale potrebbe non avere accesso al vaccino contro il Covid-19 fino almeno al 2022. Un secondo studio poi, "Global, regional, and national estimates of target population sizes for covid-19 vaccination: descriptive study", pubblicato sempre sull’autorevole rivista, stima che siano circa 3,7 miliardi le persone in tutto il mondo che attendono con trepidazione l’arrivo del vaccino. E questo sottolinea ancora di più l'importanza di progettare strategie per garantire un corretto equilibrio tra domanda e offerta, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito.
di
Elisa Manacorda
I ricercatori della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, autori del primo studio, hanno analizzato la richiesta dei vaccini prima ancora della loro approvazione. Al 15 novembre 2020, diversi paesi avevano prenotato un totale di 7,48 miliardi di dosi dai 13 produttori dei 48 candidati al vaccino anti-Covid-19 sottoposti a valutazione clinica.
Poco più della metà (51%) di queste dosi (circa 3,85 miliardi di dosi), secondo gli autori, andrà ai paesi ad alto reddito, che rappresentano il 13,7% della popolazione mondiale.
Dei tredici produttori solo sei hanno venduto a paesi con reddito medio e basso, nonostante proprio a questi ultimi appartenga più dell'85% della popolazione mondiale. A loro spetterebbe, secondo lo studio, fino al 40% dei cicli di trattamento, ma questo dipende da come i paesi ad alto reddito condivideranno quello che si sono procurati e se Stati Uniti e Russia si renderanno disponibili a una cooperazione a livello globale.
Gli autori della ricerca affermano che se anche tutte le aziende riuscissero a raggiungere la loro massima capacità produttiva, almeno un quinto della popolazione mondiale non avrebbe accesso ai vaccini fino al 2022. I paesi ad alto reddito si sono assicurati le future forniture di vaccini anti-Covid ma l'accesso per il resto del mondo è incerto. "I governi e i produttori potrebbero fornire garanzie indispensabili per un'equa distribuzione dei vaccini anti-covid attraverso una maggiore trasparenza e responsabilità su questi accordi", concludono i ricercatori.
Dello stesso tenore il secondo studio, che ha focalizzato l’attenzione sulla tipologia di persone che dovranno per prime ricevere il vaccino. I ricercatori, con sede in Cina e negli Stati Uniti, hanno stimato le popolazioni target per le quali sarebbero necessari i vaccini, per aiutare nello sviluppo di strategie di distribuzione eque in tutto il mondo.
Le dimensioni della popolazione target variano notevolmente in base alla regione geografica, agli obiettivi del vaccino (come il mantenimento dei servizi essenziali di base, la riduzione dei casi gravi e l'arresto della trasmissione del virus) e all'impatto del diffuso ‘scetticismo vaccinale’ (la poca fiducia nel vaccino per diverse motivazioni) nella riduzione della domanda. Le fasce prese in esame comprendono lavoratori in ambito sanitario, forze di polizia e militari, persone di età superiore ai 60 anni e agli 80, donne in stato di gravidanza e così via.
Il 68% circa della popolazione globale è disposta a vaccinarsi, e questa percentuale è utile per individuare un piano strategico focalizzando le priorità della vaccinazione a livello globale, nazionale e regionale. Le variazioni nella dimensione delle popolazioni target all'interno e tra le regioni sottolineano il tenue equilibrio tra domanda e offerta di vaccini, specialmente nei paesi a basso e medio reddito, senza capacità sufficiente per soddisfare la domanda interna. Per questo motivo ogni paese dovrebbe valutare diverse strategie basate sull’epidemiologia locale, sullo stato di salute della popolazione e fare proiezioni delle dosi disponibili.
Entrambi gli studi sono osservazionali, con analisi che racchiudono un certo grado di incertezza e incompletezza nelle informazioni. Al tempo stesso fanno luce sulla complessità dell’iter di produzione, acquisto, distribuzione e somministrazione del vaccino anti Covid-19, invitando ad intraprendere strade per affrontare le esigenze globali.
Jason Schwartz , professore alla Yale School of Public Health, sottolinea in un editoriale collegato ai due studi, che molti paesi hanno già dimostrato un impegno per un accesso globale ai vaccini anti-Covid-19 acquistandoli attraverso la Covax Facility, iniziativa all’interno di Covax che supporta lo sviluppo e la distribuzione equa dei vaccini contro il virus. Il progetto è diretto da OMS, CEPI e GAVI Alliance, partnership pubblico-privata nata nel 2000 con l’obiettivo di garantire un miglior livello di salute per i bambini e per la popolazione, attraverso la realizzazione di campagne di vaccinazione nei paesi in via di sviluppo.
L’Italia ha donato 100 milioni di contributi diretti tra il 2016 e il 2020, e annunciato un rinnovo pluriennale di 120 milioni di euro per il prossimo ciclo finanziario (2021-2025), compreso il contributo per la distribuzione del vaccino.
Secondo il professor Schwarz sarà comunque la partecipazione degli Stati Uniti ad essere determinante per garantire l’accesso ai vaccini anti-Covid a tutte le popolazioni del mondo e per porre fine a questa devastante epidemia mondiale.
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