ROMA – In Cassazione vince il cartello delle toghe conservatrici che mandano alla Consulta la civilista Maria Rosaria Sangiorgio che sconfigge Giorgio Fidelbo, il collega penalista schierato con i giudici progressisti. Sangiorgio, fino a due anni fa componente togata del Csm e capogruppo di Unità per la Costituzione, il gruppo di cui faceva parte Luca Palamara, attualmente era presidente di una delle sezioni civili della Suprema corte. Mentre Fidelbo era al vertice della sesta penale.
Per Sangiorgio la vittoria è netta, con i suoi 186 voti incassati a fronte dei 133 di Fidelbo. Sarà la quarta donna della Corte costituzionale, dopo, in base all’anzianità di insediamento, Silvana Sciarra e Daria de Pretis, la prima eletta dal Parlamento e la seconda nominata dal Quirinale, come l’ultima giudice indicata da Mattarella, Emanuela Navarretta, che ha preso il posto di Marta Cartabia. Le donne dunque si avvicinano a toccare un terzo dei 15 giudici della Consulta, un indiscutibile passo avanti rispetto a quando entrò nel palazzo la prima donna, l’avvocato genovese Fernanda Contri, scelta nel 1996 dall’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro. Poi ci sono voluti altri vent’anni per giungere alla presidenza di una donna, quella della costituzionalista Cartabia.
Una presidenza funestata dal Covid, che ha colpito la stessa Cartabia, ma che ha segnato una mutazione importante per la Corte, passare dalle udienze e dalle camere di consiglio dal vivo a quelle in parte o del tutto da remoto, a secondo della forza del Covid. Una consuetudine che ha coinvolto anche gli avvocati, prima riluttanti, ma poi pronti a capire che quella strada era l’unica per non bloccare il giudice delle leggi. Anche nel loro interesse. In questa direzione, Mario Rosario Morelli, il giudice che è stato presidente per tre mesi, ha raccolto e implementato l’intuizione di Cartabia verso una giustizia che anche nell’emergenza Covid non si ferma.
Maria Rosaria Sangiorgio, che giovedì mattina giurerà al Qurinale nelle mani del presidente della Repubblica, è nata nel 1952 a Napoli. Entrata in magistratura nel 1981, è stata pubblico ministero e poi assistente di studio proprio alla Consulta. Dal 1998 è in Cassazione, dove ha lavorato prima al Massimario, l’ufficio che monitora le sentenze, e poi nel settore civile, dov’è rientrata dopo i quattro anni trascorsi al Csm dal 2014 al 2018.
Sicuramente la sua elezione farà discutere per un triplice motivo. In primo luogo, perché dopo soli due anni Sangiorgio passa dal Csm alla Consulta, e quindi terminerà la sua carriera di giudice, che si chiude a 70 anni con il pensionamento, fuori dalla magistratura. Poi per il confronto aspro – anche se molto sotto traccia – che c’è stato alla Corte di Cassazione tra gli sponsor di Giorgio Fidelbo, noto penalista, e la stessa Sangiorgio. Sicuramente a giocare a favore di Sangiorgio sarà stata anche la convocazione in Corte di tutti i civilisti chiamati giusto martedì a ritirare il token per avviare il processo civile telematico. Già dal primo voto si era capito l’orientamento dei colleghi: ben 141 voti a Sangiorgio, seguita da Fidelbo con 83. A seguire i 69 voti di Luigi salvato, anche lui civilista e avvocato generale, e i 32 di Adelaide Amendola, civilista anche lei.
A sentire i bene informati nel palazzo di piazza Cavour a Fidelbo avrebbe nuociuto la forte dinamica di contrapposizione nel gruppo della sinistra di Area, che non ha mai raggiunto una vera unità di azione e di intenti tra la storica corrente di Magistratura democratica e quella del Movimento per la giustizia. Un riflesso delle polemiche s’è visto anche con le elezioni dell’Anm, quando è stata esclusa la corsa verso la presidenza di Silvia Albano proprio in quanto toga “rossa” di Md. Un gruppo che viene sempre visto come in bilico verso una possibile uscita da Area. A fronte di queste dinamiche “guerresche”, la destra della magistratura – Unicost e Magistratura indipendente – ha marciato compatta sul nome di Sangiorgio.
Infine ci sono gli equilibri interni alla Consulta. Dove sarebbe stato ben visto l’arrivo di un penalista, visto che al momento c’è il solo Francesco Viganò, docente appunto di diritto penale, anche se il giudice Giovanni Amoroso, alle sezioni unite della Cassazione, ha trattato anche questioni penali ma venendo dal civile. Sono civilisti invece Stefano Petitti, anche lui giudice della Suprema Corte, Emanuela Navarretta, ordinaria di diritto privato, Giulio Prosperetti e Silvana Sciarra, entrambi giuslavoristi, Giancarlo Coraggio e Angelo Buscema, ex presidenti rispettivamente del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Daria de Pretis è una amministrativista. E poi c’è la platea dei costituzionalisti, Giuliano Amato, Luca Antonini, Augusto Barbera, Franco Modugno, Nicolò Zanon.
Ma a questo punto la Consulta marcia verso l’elezione del presidente che prenderà il posto di Mario Rosario Morelli. Scontata la nomina, probabilmente plebiscitaria, di Coraggio, già oggi vice presidente, che avrà davanti a sé 13 mesi di presidenza. Quindi una presidenza “lunga”. Ad Amato, che lo segue per anzianità di nomina e resterà alla Corte per altri due anni, andrà la vice presidenza. Il voto ci sarà venerdì, seguito dalla consueta conferenza stampa.
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