BOLOGNA – Quando si presentò a Casteldebole, accompagnato dai genitori, Mattia era, letteralmente, un pulcino. I primi giorni provarono a dirgli di mettersi in porta. Questione, pensavano, di Dna. Perché Mattia di cognome fa Pagliuca. Già, suo padre è proprio Gianluca, tre Mondiali (un secondo posto a Usa ‘94) uno scudetto e molto altro a Genova, una Coppa Uefa a Milano, il gatto di Casalecchio, come tuttora lo chiamano in tanti, 596 partite fra i pali in Serie A. Ma Mattia non voleva saperne di infilarsi i guantoni. E aveva ragione, se oggi è una prima punta versatile, domenica scorsa ha debuttato in A col suo Bologna, domani sera a La Spezia sarà di nuovo fra i convocati di Mihajlovic.
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di
Luca Bortolotti
Ha 18 anni, non ha ancora la patente, non ha il motorino, e conoscendo il padre non si corre il rischio che finisca fra i regali delle prossime feste. Tanto più che al Bologna non gradiscono e c’è da capirli, dopo la tragedia che colpì un altro figlio d’arte, Niccolò Galli, che morì a due passi dal centro tecnico dopo un incidente.
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Era febbraio 2001. Mattia è nato ad aprile dell’anno successivo, il giorno della liberazione, suo padre giocava proprio nel Bologna, di cui è stato bandiera e capitano. Oggi non si vedono solo a casa, perché Mattia è il centravanti della Primavera allenata da Zauri (2 gol e 4 assist nelle iniziali cinque giornate di campionato, prima dello stop al torneo causa Covid), mentre il padre allena i portieri del vivaio.
L’esordio domenica non è stato dei migliori, per il Bologna travolto in casa dalla Roma e Mattia, un ragazzo sensibile, non è certo uscito dal campo sorridente. Ma come diceva in tv l’ex attaccante Fabio Bazzani, in quei 15 minuti finali in cui è stato gettato nella mischia, non si è affatto mosso male. Da ragazzino faceva la mezzala e faticava a crescere, poi all’improvviso boom, e oggi sfiora il metro e 90. La svolta fisica c’è stata quand’era in Under 17. A Casteldebole spiegano che è una prima punta in grado di fare anche l’esterno e volendo la seconda punta, insomma, sa adattarsi, è bravo di testa, svelto in area, destro di piede ma con un sinistro sensibilmente migliorato, già ora discreto, perché l’atteggiamento, che fa la differenza, è quello di chi vuol crescere e non s’accontenta. Comprensibile, ma non scontato.
Tifoso del Bologna ma simpatizzante della Roma, l’ha persino sfidata nella sua prima volta coi grandi, lui che ha sempre provato una sconfinata ammirazione per Francesco Totti. Potersi allenare con la prima squadra non è solo un sogno che si realizza, ma anche un modo per continuare a crescere nel calcio del Covid che ha frantumato l’attività dei settori giovanili (la Primavera comunque riprenderà a breve). A Sinisa piace, del resto è un ragazzo per bene, coscienzioso, con tanta voglia di migliorarsi. Dal babbo non ha ereditato la passione del ruolo, ma l’amore per il calcio e pure per il basket. Sfegatato sostenitore della Virtus, come il padre che anni fa arrivò persino a finanziarla, sulla maglia s’è fatto stampare il numero 44 che guarda il caso è lo stesso di Teodosic con la Vu nera, la stella principale, sino all’arrivo recentissimo di Belinelli, della squadra di Djordjevic. Il giocoliere dei canestri. Mattia, però, vuol semplicemente buttarla dentro. Ha una vita davanti per imparare a farlo al meglio e intanto, con molti attaccanti della prima squadra infortunati, si gode questa ribalta improvvisa, senza montarsi la testa.
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