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Wojciech Rychlewicz, lo “Schindler polacco” che salvò centinaia di ebrei

BERLINO – La Polonia, come ogni società del mondo libero, si divide su tanti temi, anche con aspri confronti, tra governo e opposizione. Ma non sulla Memoria del ruolo polacco nella coalizione alleata contro l’Asse. E adesso ricerche negli archivi storici hanno portato per caso alla scoperta che ci fu un Oskar Schindler polacco, un coraggioso diplomatico rappresentante del legittimo governo in esilio a Londra e in servizio a Istanbul, che salvò una marea di ebrei polacchi e di altri Paesi consentendo loro con passaporti falsi, ma soprattutto con falsi certificati di battesimo cattolico, di fuggire dall’Europa occupata da Hitler e Mussolini, attraverso la Turchia neutrale, ma filotedesca e soprattutto esposta alle pressioni di Berlino, in Regno Unito, Usa, Brasile o altri Paesi sicuri.

Lo Schindler polacco si chiamava Wojciech Rychlewicz. Da subito dopo l’invasione nazista e sovietica della Polonia e l’inizio della Shoah, egli e sua moglie Janina, fedeli al governo in esilio, fecero di tutto per salvare gli ebrei. Era in contatto non solo con il governo esule a Londra bensí anche con l’Armia Krajowa, l’esercito partigiano e Stato clandestino nella Polonia occupata, e poi con l’Armata polacca dell’eroe nazionale generale Wladyslaw Anders, il vincitore di Montecassino e liberatore di Ancona e Bologna. Nella seconda guerra mondiale la Polonia partecipò alla coalizione alleata con più soldati, piloti e armi della Francia Libera, e lo stesso Rychlewicz, dopo aver rischiato per anni in Turchia con la sua operazione Schindler, combatté nelle unità del generale Anders.

Alcuni discendenti degli ebrei salvati dallo Schindler polacco si decisero di recente a ricercare. Come Bob Meth, cresciuto nel New Jersey. "Sapevo – dice citato dal sito indipendente polacco Notes from Poland – che mia mamma Ellen non era cattolica, bensì una scampata alla Shoah, che poi si rifugiò negli Stati Uniti". Lui e altri si misero in contatto con l’ambasciatore di Polonia in Turchia, Jakub Kumoch, il quale fu poi chiamato anche da un’alta fonte governativa di Varsavia, responsabile per i rapporti con la comunità ebraica mondiale. Kumoch e i suoi colleghi di Varsavia si mossero, e negli archivi ritrovarono storie e prove. Con abilità incredibile, lo Schindler polacco aiutava i fuggitivi a raggiungere la Turchia. Poi si affrettava a produrre per loro i falsi certificati di battesimo e passaporti, perché Ankara era neutrale ma non vedeva di buon occhio l’arrivo di tanti ebrei in fuga. Ed era sottoposta al pressing di Berlino, che chiedeva la loro riconsegna.

Rychlewicz in contatto col governo in esilio e poi anche con Anders e i suoi ufficiali si impegnò in una corsa contro il tempo. Producendo certificati e passaporti così ben fatti che persino l’ambasciatore Kumoch e l’attuale diplomazia polacca coi suoi archivi storici ci misero del tempo a identificare la firma di quel diplomatico-Schindler, un eroe che voleva restare invisibile, e anche dopo la guerra, rifugiatosi in UK e divenuto cittadino britannico per sfuggire all’occupazione sovietica e all’imposizione del comunismo (con l’assassinio di moltissimi ex soldati e partigiani dell’Armia Krajowa ordinato da Stalin) non parlò mai della sua pericolosa avventura. La diplomazia polacca ha scoperto lo Schindler polacco solo grazie a un criminologo che ha adesso identificato la sua firma.

La mamma di Bob Meth alla nascita si chiamava Edwarda Tuska Wang, e con i genitori Szymon ed Emilia crebbe a Rzeszów. Poi la famiglia cercò disperatamente una via di fuga, e riuscí ad arrivare in Turchia. Avevano saputo che dalla Turchia, con certificati di battesimo cattolici, avrebbero potuto raggiungere il Brasile. E passarono la notizia a centinaia di ebrei europei. Lo Schindler polacco aiutato dalla consorte Janina si mise all’opera instancabile per aprire loro le porte del viaggio della salvezza. Spesso viaggi lunghissimi, fino in India o altrove in Asia. Fuggirono chi in Sudamerica, chi negli States. Solo Emilia non riuscí a lasciare l’Europa occupata, e finí assassinata ad Auschwitz.

Poi Rychlewicz divenne ufficiale dell’Armata di Anders, in seguito ottenne la cittadinanza britannica. Visse nel Regno Unito morendo sereno nel 1964. Sereno, ma ignoto quale eroe. Per decenni, si seppe solo che sua moglie si era prodigata per salvare perseguitati da Hitler. "Lui non raccontò mai nulla neanche a casa e in famiglia", dice la propipote Anna Whitty, "scelse di essere fino all’ultimo un eroe nell’ombra". Adesso i discendenti dei tantissimi ebrei da lui salvati chiedono che Rychlewicz, lo Schindler polacco, sia ricordato con i massimi onori, e che le generazioni future apprendano la storia di quel coraggioso taciturno polacco, ufficiale e gentiluomo.

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