Ha lasciato Venezia e non parla più con nessuno. Francesco Zambon, il funzionario dell’Oms finito suo malgrado al centro di un caso internazionale per il rapporto sulla gestione della pandemia in Italia pubblicato nel maggio scorso e immediatamente ritirato, ora teme per il suo lavoro. La Procura di Bergamo l’ha convocato per rendere testimonianza sul mancato aggiornamento del piano pandemico italiano e su altri aspetti del report “Una sfida senza precedenti: la prima risposta dell’Italia al Covid-19”, ma l’Oms ha bloccato tutto opponendo l’immunità diplomatica. Repubblica ha raggiunto il suo avvocato, Vittore D’Acquarone.
di
Andrea Tornago
Avvocato perché deve intervenire lei, non può parlare direttamente Zambon?
"Il dottor Zambon non può parlare nemmeno con i magistrati italiani, figuriamoci con la stampa. L’indicazione dell’Oms è che non può rilasciare interviste, e non l’ha mai fatto perché così gli è stato richiesto".
Il suo posto di lavoro all’Oms è a rischio?
"Zambon resta coordinatore presso l’ufficio Oms di Venezia, che ha guidato questo lavoro straordinario studiando la reazione dell’Italia all’epidemia, il primo grande Paese occidentale che affrontava il nuovo coronavirus. Certamente ha il timore di conseguenze per la situazione che si è creata intorno a questo report, che tra l’altro era stato approvato da tutta la catena di controllo dell’Oms fino ai massimi livelli, approvato e pubblicato".
Poi cos’è successo?
"La pubblicazione è stata revocata ufficialmente per via di una questione tecnica che riguardava la Cina, un inconveniente risolto nel giro di poche ore. Il 14 maggio (il giorno dopo la prima pubblicazione, ndr) il rapporto era pronto per essere rimesso nel web e invece, per ragioni ancora da chiarire, non è più stato autorizzato ed è sparito dai siti dell’Oms. Una volta modificato quell’unico punto, riguardante la Cina, non risulta che siano mai state richieste ulteriori modifiche: semplicemente non è più stato pubblicato".
Era pieno di inesattezze, ha sostenuto Ranieri Guerra in un’intervista.
"Ecco vede la disparità di condizioni? Il dottor Guerra può dichiarare quello che ritiene e invece Zambon non può difendersi. Per quanto è a mia conoscenza non c’erano errori nel documento. L’estensore del rapporto tra l’altro non è Zambon, ma Wim Van Lerberghe, che ha ricoperto ruoli apicali all’interno dell’Oms e che ha redatto in prima persona numerosi altri rapporti di caratura mondiale sulla sanità per l’organizzazione. L’unico modo per chiarirlo sarebbe quello di permettere a tutti i protagonisti, cioè a Zambon e a tutti i collaboratori che hanno lavorato al rapporto, di parlare con l’autorità giudiziaria e perché no con la stampa".
Zambon potrebbe rinunciare all’immunità, come ha sostenuto Guerra sulla sua pagina Facebook?
"Non è un’opzione che l’Oms gli ha comunicato, anzi gli è stato detto che non ha alcuna facoltà di scelta. Prendo atto di quanto dice il direttore aggiunto (“Forse ne hanno il dovere. Perché non rinunciano all’immunità e vanno?”, ndr) e penso che Ranieri Guerra coerentemente prenderà iniziative presso l’Oms per spingerli ad andare in questa direzione. A noi questo tipo di opportunità non è mai stata offerta. Per ora da un parte c’è l’autorità giudiziaria italiana che chiede di sentirli come testimoni, dall’altra l’Oms dice che c’è l’immunità e che non possono essere sentiti, e in mezzo il governo italiano che non prende posizione perché sembra non voler scontentare nessuno".
Se c’è l’immunità, perché Ranieri Guerra è andato dai magistrati di Bergamo?
"Non lo sappiamo. Se il dottor Guerra ritiene che a questa immunità si possa rinunciare individualmente non si capisce perché i vertici non hanno detto a Zambon e agli altri che potevano scegliere se andare o no dai magistrati di Bergamo. La terza convocazione a noi non è nemmeno arrivata perché l’Oms non ce l’ha inoltrata. È chiaro che questa facoltà a noi non è stata offerta".
Guerra dice che è andato dai pm a titolo personale, che cosa significa?
"Mi sfugge. Sia Ranieri Guerra che Francesco Zambon la prima volta sono stati convocati allo stesso modo, personalmente e direttamente dalla Procura, senza passare dall’Oms. Ma le disposizioni interne prevedono che devono informare i loro superiori gerarchici, cosa che Zambon ha fatto".
Quali vertici?
"I vertici di Oms Europa, ovvero gli stessi che avevano partecipato all’approvazione del rapporto. Sono loro che poi rispondono per dire a tutti di non andare dai magistrati, che avrebbero scritto loro alla Procura e che le autorità italiane dovevano passare prima dal ministero degli Esteri e rivolgere la richiesta direttamente all’Oms. Della seconda convocazione abbiamo saputo solo il giorno prima, quando ci è stato detto che avevano nuovamente opposto l’immunità. La terza invece non l’abbiamo proprio mai vista".
Lei non ritiene che siano stati violati i diritti di Zambon?
"Su questo rifletteremo una volta che la questione si sarà definita, ma mi auguro che prevalga il buonsenso. Dovremmo fare istanze alla giustizia sovranazionale e attendere risposte tra diversi anni. Speriamo di non dovere arrivare a tanto".
Questo rapporto dell’Oms di Venezia sarebbe servito anche ad altri Paesi?
"Certo. Era questo il senso di lavorare in presa diretta con tutto il team. Si voleva studiare e consegnare un’istantanea dei punti di forza ma anche di quelli di debolezza dell’Italia di fronte alla pandemia, così da consentire ad altri Paesi di investire nella giusta direzione. La corsa contro il tempo, l’impegno di tutto il team per pubblicare il rapporto già a maggio aveva esattamente questa finalità. Un documento ufficiale come quello avrebbe potuto orientare e giustificare le scelte delle autorità sanitarie di molti Paesi che poi si sono trovati a loro volta travolti dal virus".Original Article
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