Se non ci fosse il grande dispiacere dei suoi lettori e il dolore – di sua moglie Valerie Jane, dei suoi quattro figli, di una vasta tribù di amici – si potrebbe sorridere, alla notizia della scomparsa di John le Carré. Che se ne è andato, come ha annunciato il suo agente, bello, elegante, brillante, spiritoso, fortunato, a 89 anni con un ennesimo coup de théatre. Rivelando, cosa che non aveva fatto per la biografia "autorizzata" scritta da Adam Sisman, qualche interessante segreto.
Ancora una volta, nella vita e nella storia di questo grande scrittore che solo la miopia delle catalogazioni ha confinato nel territorio della letteratura di genere, i doppi livelli della scrittura e della vita si sono intrecciati inestricabilmente, come le quasi verità e le quasi bugie che, insieme, sono andate a formare durante la sua vita quella terza verità che sono i suoi libri.
Tutta la vita di David Cornwell, l'uomo dietro lo scrittore, e tutta l'opera di John le Carré, la "spia", l 'autore, hanno seguito questo percorso, fin dall'infanzia, vissuta dal piccolo David nell'assenza della madre, che se ne era andata quando lui aveva cinque anni, e nell'ombra inquietante di suo padre, Ronnie, imbroglione professionista, un giorno padrone di un castello Tudor, il giorno dopo in prigione.
Il senso di precarietà di questa vita, raccontato da le Carrè in La spia perfetta (pubblicato in Italia da Mondadori come gli altri titoli), che è un pezzo di autobiografia travestita da romanzo (e secondo il di solito non generosissimo Philip Roth, il miglior romanzo di lingua inglese dalla fine della guerra), ha spinto David Cornwell a inventarsi delle storie per coprire le sue tracce, giustificarsi, difendersi. "Quelli che hanno avuto un'infanzia infelice, sono molto bravi a inventarsi". Così è stato con lui. Che ha studiato e bene a Sherborne, a Berna e a Oxford. Che ha rivelato un talento per le lingue molto utile nel mondo del Foreign Office. Che, dalla sua esperienza di doppia lealtà (al padre, alla scuola), ha tratto le qualità che hanno fatto di lui, per un certo periodo, la spia perfetta. Prima al MI5, poi al MI6. Poi sulle pagine dei suoi libri.
Nel 1961 in Chiamata per il morto (per pubblicare il quale, ancora legato al mondo del Foreign Office, il giovane Cornwell dovette nascondersi sotto lo pseudonimo di John le Carré), compariva per la prima volta George Smiley, il grande civil servant, triste, frustrato, diviso, e tuttavia graniticamente leale alla causa del suo Paese, di cui David Cornwell avrebbe fatto un personaggio simbolo della britannicità al pari di Bertie Wooster o di Sherlock Holmes, rivelando al tempo stesso nella costruzione del personaggio quanto importanti siano stati le sue esperienze di vita e gli incontri che hanno popolato la sua giovinezza – da John Bingham, un alto esponente del MI5, al suo tutor di Sherborne, Vivian HH Green.
Ma fu nel 1963 che esplose il fenomeno le Carré, con La spia che venne dal freddo, un romanzo che per la sua capacità di cogliere un momento storico e un'atmosfera merita per una volta il titolo di "epocale". Quella che secondo un maestro del genere come Graham Greene era "la miglior spy story che io abbia mai letto" divenne un film di angosciosa attualità e portò Cornwell ad abbandonare il mestiere di diplomatico-spia. Mentre si infittiva la sua vita alternativa di scrittore, che segnò uno dei punti più alti della sua storia con Tinker Tailor Soldier Spy, La talpa, dove le Carré mise in scena tutta la complessità della moralità (e l'immoralità) del mondo della politica e dei servizi negli anni difficile della Guerra fredda. Con tanta fascinosa verosimiglianza da infiltrare il Circus e i servizi con il suo gergo: "la talpa", " i lampionai", i "cugini", i "calzolai". Seguirono L'onorevole scolaro, Tutti gli uomini di Smiley, La tamburina (che spostava lo scenario e il dibattito politico e morale in Medio Oriente). Fino a La spia perfetta, nell'86. Fino al romanzo sulla fine del l'impero sovietico che le Carré pubblicò nel 1989, La casa Russia.
La caduta del muro, il dissolversi delle certezze del confronto Est/Ovest, la fine delle travagliate sicurezze al motto right or wrong my country, hanno rappresentato certamente un colpo, o quanto meno uno stallo, per il mondo di le Carré. Sicuramente lo stravolgimento dello scacchiere su cui si era esercitata la sua analisi morale e politica ha creato a le Carré qualche difficoltà creativa. Ci sono stati, nei primi anni dopo il 1989, libri meno felici, diversivi, quasi, o parodie, come Il sarto di Panama, il suo omaggio a Greene.
Ma lo scrittore di razza è subito tornato a colpire. Le Carré, sciolto dal giuramento di lealtà con l'Occidente, divenuto apparentemente un unico granitico fronte, ne diventa la sentinella critica. E, in un mondo cambiato, trova nuovi bersagli a quella che chiama la sua Alterszon, la rabbia dei vecchi, a quello che vive come "uno stato d'animo più radicale, più libero": trova i nemici nella Big Pharma (che, per inciso, lo ha praticamente minacciato) di Il giardiniere costante, nel pregiudizio razziale e culturale (Yssa il buono), nella immoralità ben educata della politica in Una questione delicata – che mette in campo i quesiti di fronte cui si è trovato l'Occidente dopo l '11 settembre.
"Qual è la differenza tra l'uomo che applica gli elettrodi e l'uomo che siede dietro una scrivania e finge di non sapere che cosa sta succedendo?". Resterà, la netta, inequivoca risposta che le Carré dà a questa domanda, l'ultimo messaggio di un conservatore illuminato, che ha vissuto con un alto senso morale il dibattito politico dei suoi anni. Un senso morale da cui nasce anche l'attenzione a una scrittura che da sola basterebbe a candidarlo a cento premi.
Per la verità, dai premi le Carré si è sempre tenuto lontano, contento del successo di pubblico e delle opulente tirature, e deciso a ignorarli, assieme ai loro pregiudizi sui "generi". Sicuramente come premio gli sarebbe bastato quello che W. H. Auden scrisse in morte di Yeats: "Time… pardons him for writing well". E qualsiasi siano i suoi limiti, il tempo renderà giustizia a chi scriveva così bene, a un autore le cui storie avvincenti hanno messo in ombra la bellezza della scrittura.
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