Giovanissimi uccisi, dimostranti arrestati, minacce ai giornalisti: così il governo regionale del Kurdistan sta affrontando le proteste a sfondo sociale di questi giorni. Venerdì la polizia di Suleimaniya ha disperso con i gas lacrimogeni una grande manifestazione che chiedeva il pagamento di salari e pensioni. I fondi governativi di Bagdad sono in ritardo, e il Krg, l’esecutivo della regione semi-autonoma, sembra deciso ad accogliere con il pugno di ferro le accuse di corruzione che vengono dai dimostranti. Al centro delle contestazioni sono entrambi i maggiori partiti che tradizionalmente esprimono la classe politica curda, il Puk e Kdp.
La crisi economica
La situazione economica è tale che lo scontento attraversa gran parte della popolazione. Secondo fonti delle Nazioni Unite, la povertà è in rapido aumento dal 2018, e oltre un terzo delle famiglie deve vivere con meno di 400 dollari al mese. L’epidemia di coronavirus ha contribuito alla disperazione, esasperando gli animi, al punto che durante le proteste alcuni edifici governativi o di partito sono stati assaliti e dati alle fiamme. Almeno 10 persone sono morte negli ultimi giorni, otto manifestanti e due peshmerga. E nella repressione delle proteste, scrive il Washington Post, la gran parte delle vittime è composta da giovani e adolescenti.
La repressione sulla stampa
Ma il Krg aumenta ancora la pressione: nei giorni scorsi ha fatto chiudere d’autorità la tv Nrt, legata all’opposizione, incarcerando i due reporter che seguivano le proteste, e ha mandato un “avviso” – racconta il sito della tv Rudaw – alle altre emittenti, perché evitino di trasmettere filmati “che incitino alla rivolta, immagini di violenza o di edifici governativi incendiati”. La decisione ha attirato le critiche del Comitato per la protezione dei giornalisti Cpj, ma anche del governo centrale di Bagdad.
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