ROMA – Fu una norma ad personam, fu una norma ad familiam, o fu solo una norma filo albergatori per via del Covid? Ma soprattutto, di chi fu la manina, o addirittura la manona, che inserì quella norma nel decreto Rilancio del 19 maggio? Norma che oggi favorisce il (di fatto) suocero di Giuseppe Conte. Quel Cesare Paladino proprietario dell’hotel Plaza – e padre di Olivia, la compagna del premier – che proprio grazie a quella norma si vede adesso cancellata la condanna per non aver pagato allo Stato la tassa di soggiorno da due milioni di euro che aveva riscosso dai suoi clienti.
Tassa di soggiorno, il colpo di spugna per gli albergatori
Maria Elena Vincenzi
,
Giovanna Vitale
La storia è antica, risale a maggio. Ma adesso, a farla finire dentro la lite tra Matteo Renzi e Giuseppe Conte, è un’interrogazione che il deputato di Italia viva Michele Anzaldi ha già scritto e sta per depositare alla Camera. Il suo contenuto – come risulta a Repubblica che l’ha letto – è destinato a rendere ancora più aspro il rapporto l’ex premier e il premier attuale. Anche se Anzaldi, componente della commissione di vigilanza sulla Rai, ci tiene subito a dire che lui questa battaglia la sta portando avanti sin dal primo giorno. Esattamente da quando quelle poche righe sono finite nel decreto Rilancio.
Però adesso, secondo Anzaldi, la storia si riapre tutta. E deve finire con un chiarimento senza se e senza ma. Perché, come scrive nell’interrogazione, lui vuole sapere “quale sia stato l’ufficio legislativo che ha proposto di inserire la norma per depenalizzare l’omesso pagamento della tassa di soggiorno”. Quell’articolo 180 è stato proposto “in tutto o in parte da un ministero”, oppure il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi di palazzo Chigi ha contribuito alla sua stesura? Anzaldi non si accontenta. Chiede se la norma sia stata discussa durante un pre Consiglio, la riunione dei tecnici che esamina la stesura di leggi e decreti. Vuole i verbali di quella seduta, visto che a capo del Dagl “c’è un magistrato, Ermanno de Francisco, nominato da Conte il 25 giugno 2018, pochi giorni dopo il suo insediamento”. Il motivo è semplice e Anzaldi lo scrive nell’interrogazione: “Perché grazie a questa depenalizzazione il padre della compagna del premier si è visto cancellare, con valore retroattivo, una condanna già passata ingiudicato con il patteggiamento”.
Dunque la storia si riapre. E finisce in Parlamento e virtualmente sul tavolo della verifica. Perché Paladino, scrive Anzaldi, “titolare del Grand Hotel Plaza di Roma, a luglio 2019 era stato condannato alla pena di 1 anno, 2 mesi e 17 giorni di reclusione per l’omesso versamento al Comune della tassa di soggiorno negli anni 2014-2018, per un totale di 2.047.677 euro. Ma quella condanna adesso non c’è più per via del ricorso presentato a luglio da Paladino. Il capo dei gip di Roma Bruno Azzolini l’ha accolto e l’ha cancellata.
Il chiarimento dovrà essere politico. Anche se già a maggio, alle prime rimostranze, fu il ministero del Turismo, materiale autore dell’inserimento, a dire che lo spirito della legge era semplicemente quello di favorire un settore in crisi per via del Covid come quello degli albergatori. Un’affermazione che però non ha mai sopito le voci sulla norma ad familiam. Che adesso divide anche la magistratura. Perché aver cambiato la qualifica dell’albergatore, da “incaricato di pubblico servizio”, e quindi in caso di reato passibile di finire imputato per peculato, a semplice riscossore, ha di fatto annullato la stessa contestazione di peculato per chi non aveva versato la tassa. Ma non basta. Perché, come ogni norma penale, anche questa non potrebbe avere valore retroattivo, quindi “coprire” un reato commesso molto tempo prima del maggio 2020 quando il decreto è entrato in vigore. Paladino, già nell’estate del 2019, aveva patteggiato la condanna a un anno e due mesi per gli oltre due milioni di euro di tassa di soggiorno non versati. Ma poi, un anno dopo a legge approvata, ha fatto ricorso per cancellare la condanna.
E qui si apre la controversia dentro la magistratura. La procura di Roma ha detto subito no al ricorso con una memoria e ha precisato che la norma non poteva essere retroattiva. Tesi condivisa anche dalla Cassazione: l’abolitio criminis, avevano chiarito i supremi giudici intervenendo su un analogo ricorso della procura di Trapani, c’è solo dal decreto in poi. Quindi chi, prima di luglio 2020, non ha versato la tassa di soggiorno può essere accusato e condannato per peculato. Eppure proprio a Roma è accaduto che un giudice, peraltro il capo dell’ufficio dei gip Bruno Azzolini, abbia revocato la pena di Paladino perché, secondo lui, quel reato non può più essere contestato in quanto è stato nel frattempo cancellato dalla legge. La procura di Roma adesso farà ricorso. E la partita torna in Cassazione. Ma prima il caso riesplode politicamente per via del renziano Anzaldi.Original Article
Commenti recenti