Sedici sono le lettere che compongono il suo nome – anzi, il doppio nome – , Alighiero e Boetti, con cui l'artista torinese, padre nobile dell'avanguardia italiana dagli anni Sessanta, amava firmare i propri lavori. Ordine e disordine, sciamano e showman e l'elenco potrebbe continuare perché sul concetto del doppio si basa tutta la sua esistenza di uomo e di creatore di mondi incredibili, viaggi e visioni.
E sedici sono anche i capitoli di un documentario che mercoledì 16 dicembre andrà in onda su Sky Arte – nel giorno in cui avrebbe compiuto 80 anni – alle 21:15, preceduto dal lancio in anteprima assoluta in Museovisione. Dalle 10 alle 18, infatti, il lungometraggio sarà lanciato sui siti internet del Castello di Rivoli, del Museo Pecci di Prato, della GAMeC di Bergamo, del Madre di Napoli, del MAMbo di Bologna e del MAXXI di Roma. Sei tra i maggiori musei d'arte contemporanea italiani si mettono quindi insieme per rendere omaggio a un artista che ha aperto la strada a tante ricerche del presente, al multiculturalismo, al ritorno alle pratiche artigianali, alle connessioni, alla coralità operativa e a una forma d'arte intesa come massima evidenza di un nomadismo intellettuale fertile e poetico.
Saranno proprio i direttori dei musei coinvolti in questo che è un progetto plurale, capace di raccontare attraverso la viva voce di chi l'ha amato, frequentato, studiato e ascoltato per lunghi anni, prima del 1994, anno della sua scomparsa, a introdurre vita e opere di Boetti e legami con le rispettive collezioni permanenti.
Afghanistan, bellezza, bic, gemelli, Giappone, mani, manifesto, mondo, numeri, Parigi, regole, ricami, ritmo, tempo, tutto e viaggio sono le parole chiave che ritmano il film Alighiero e Boetti. Sciamano e Showman, una produzione Sky Arte e Tiwi con la regia di Amedeo Perri e Luca Pivetti. Partiamo dal titolo – che riecheggia quello di un libro straordinario curato da Annemarie Sauzeau, prima moglie e compagna di strada di tutto il lavoro germinale di Boetti – , paradigma delle sue due anime, perché – come dice Angela Vettese – l'artista voleva essere anche un veicolo di spiritualità, "cioè uno sciamano". In Oriente – soprattutto in Afghanistan – aveva ritrovato le proprie ideali radici ascetiche, sulle tracce di un suo antenato di cui conobbe casualmente attitudini e gesta estreme, comprese l'avvio di una religione e la fondazione di un esercito.
A Kabul, dove trascorreva lunghi periodi, Boetti nei Settanta approfondisce la conoscenza di Salman Alì, sostanzialmente il suo angelo custode, che si trasferisce a Roma proprio in casa dell'artista, diventando assistente di studio, baby-sitter dei suoi figli e amico di una vita. Nell'intervista che compare nel documentario, Salman a un certo punto si commuove.
Vivace anche la testimonianza della gallerista Alessandra Bonomo, sua compagna per lunghi anni, che non a caso evidenzia la dimensione primigenia dei disegni di Boetti, che li considerava punti di partenza di idee e concetti, anche di quel Tutto, una delle parole al cento della sua poetica e che fa riferimento anche a una delle frasi pronunciate dallo stesso Alighiero nelle clip montate da Perri e Pivetti: "Io penso che si può veramente usare tutto per fare l'arte", dice.
E poi ci sono i figli, Agata e Matteo Boetti – a capo dell'archivio – , che raccontano dettagli memorabili di una vita totalmente estranea dall'ordinario, anche nel quotidiano; la seconda moglie Caterina Raganelli, un intellettuale come Tommaso Pincio e un fotografo e testimone oculare dell'arte d'avanguardia di quegli anni, Giorgio Colombo, autore anche di alcuni ritratti iconici dell'artista, nel suo studio e altrove, con la famiglia e gli amici di una vita. Ne emerge un ritratto plurale e ci fa comprendere che il mondo Boetti è ancora aperto e carico di stupore. Perciò, auguri maestro!Original Article
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