New York.L’America vive due D-Day in un giorno solo. E’ un 14 dicembre “storico” per l’avvio della vaccinazione di massa su una scala senza precedenti; è anche il giorno in cui il Collegio elettorale deve per legge certificare in modo ufficiale e definitivo la vittoria di Joe Biden. In queste ore il test è formidabile per la grande macchina logistica della vaccinazione; è delicato anche per la macchina delle istituzioni che affronta una prova forse senza precedenti.
Il paragone con il D-Day – il giorno dello sbarco degli Alleati in Normandia, 6 giugno 1944 – lo ha fatto il generale Gustave Perna e si riferisce alla vaccinazione di massa. L’alto militare è stato nominato da Donald Trump alla guida di Operation Warp Speed, la task force incaricata della regia delle vaccinazioni. Dopo l’approvazione in tempi ultraveloci del vaccino prodotto da Pfizer, in queste ore 3 milioni di dosi stanno viaggiando su aerei e camion: i contenitori a temperature polari sono partiti dal principale stabilimento Pfizer a Kalamazoo in Michigan e sono già arrivati o in arrivo in 145 centri di distribuzione; tra domani e dopodomani verranno riforniti altri 500 siti designati per lo smistamento. L'inoculazione sta già cominciando per le categorie prioritarie come medici e anziani in case di cura. Lo sforzo della logistica è considerato senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale: coinvolge scienziati e operai delle fabbriche farmaceutiche, grandi spedizionieri come Ups FedEx e un esercito di camionisti, compagnie aeree, decine di migliaia di farmacisti e infermieri mobilitati solo per la prima ondata di vaccinazioni al personale sanitario. I materiali usati sono ad alta tecnologia, come i sensori per localizzare gli spostamenti di ogni partita di vaccino e i congelatori a bassissima temperatura.
Il paragone con la guerra non è esagerato, la sfida è quasi altrettanto drammatica: nell’ultima settimana il bilancio dei morti per covid ha superato i 2.500 morti al giorno e l’autorità sanitaria Cdc ha ammonito che potrà salire a 3.000 decessi quotidiani per i prossimi 60 o 90 giorni.
L’altro D-Day non è così drammatico, ma è un test per la democrazia americana. Oggi è la data in cui i 50 Stati hanno l’obbligo di comunicare chi ha vinto l’elezione presidenziale, nelle proprie circoscrizioni. In passato il più delle volte questo passaggio era formale, una non-notizia. Ma il rifiuto di Donald Trump di riconoscere la sua disfatta, e i numerosi tentativi del presidente uscente di ribaltare il risultato con ogni strumento possibile, hanno creato un’atmosfera di pathos e di apprensione perfino attorno alla scadenza di oggi. Il Collegio elettorale è un’istituzione molto americana, che gli americani stessi faticano a capire o ad accettare. Nasce da questo principio scritto nella Costituzione: non sono gli elettori bensì gli Stati Usa ad eleggere il presidente; anche se quasi sempre gli Stati non fanno che prendere atto della volontà dei votanti, e designano dei “grandi elettori” che riflettono fedelmente il risultato delle urne. Il Collegio elettorale nasce da un compromesso tra i padri fondatori delle Costituzione, che nel 1788 erano divisi tra chi voleva un’elezione presidenziale diretta a suffragio universale e chi avrebbe preferito un presidente eletto dal Congresso (come in Italia). La legge dice che oggi stesso il Collegio si “riunisce”. Significa che in ciascuno dei 50 Stati – con procedure specifiche dettate dalla legge locale – si riuniscono questi superdelegati, per comunicare a Washington il risultato dei rispettivi territori.
Il Collegio è stato sotto tiro negli ultimi anni da sinistra, perché dopo l’elezione di George W. Bush nel 2000 e quella di Donald Trump nel 2016 i democratici si sono convinti che l’assegnazione dei grandi elettori favorisce la destra. In realtà è un sistema tipicamente federalista che tende a sovra-rappresentare gli Stati più piccoli per evitare uno strapotere dei più grossi (l’Unione europea ha criteri simili). Oggi è Trump a voler scardinare il sistema, usando un cavillo: la possibilità teorica che le assemblee legislative locali ignorino la volontà degli elettori, designando dei delegati pro-Trump anche in Stati dove Biden ha vinto. Le sue chances di spuntarla sono ormai ridotte quasi a zero, dopo che anche la Corte suprema a maggioranza repubblicana ha mostrato di non voler interferire con la volontà degli elettori: Biden ha avuto 7 milioni di voti in più. Ma la tensione creata dalle contestazioni di Trump ha indotto alcuni Stati a dare una scorta di sicurezza ai delegati che si riuniscono per esprimere il risultato al Collegio.
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