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I giudici e il capitano: Falcone e Borsellino, i giorni all’Asinara tra fiction e memoria

Quanto coraggio serve per inventare un personaggio di finzione e muoverlo fra le strade di Palermo nel lontano 1985? L’ingrediente aggiunto si chiama Carlo Farkas, «il capitano dei carabinieri venuto da lontano» , protagonista di “Un’estate a Palermo” il romanzo di Alessandro De Lisi ( edito da Nuovadimensione). La prefazione di Maria Falcone inquadra il contesto storico – «gli anni dei morti ammazzati nelle strade, la mattanza la chiamavano. Gli anni degli eroi nudi che camminavano soli, tentando di scansare nemici e indifferenza» – per un romanzo che racconta «la Palermo che si voltava dall’altra parte una città cupa stordita dallo scirocco, la città da cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino dovettero scappare per potersi salvare la vita e completare il lavoro che portò al loro “miracolo” giudiziario: il maxiprocesso».

De Lisi quegli anni li ha vissuti, giornalista palermitano impegnato nelle lotte di impegno civile e culturale, con questo romanzo compie una scelta ardita ed efficace, introducendo la fiction in un contesto che tutti crediamo di conoscere a menadito, ottenendo l’effetto di ridurre la distanza e recuperare la memoria di «quegli uomini soli che non piacevano a nessuno », scrive Maria Falcone.

Farkas è triestino, lontano dalla propria amata, esordisce in pagina nel borgo di Sant’Anna: c’è un corpo a terra il cui sangue si mescola alle bottiglie di latte, entrambi crivellati di colpi. Sono gli anni in cui i corleonesi stanno agendo in modo sanguinario e Farkas – che vive in affitto, in via Bottai «fuma come una ciminiera, ha almeno dieci chili di troppo e soffre di nostalgia». Ma crede nella legge e mette la divisa al primo posto, per questo non è uno straniero a Palermo.

L’adrenalina è un punto a favore del libro, dosata con cura. La scena dell’irruzione in un laboratorio dell’eroina in pieno centro storico e soprattutto le pagine in cui l’autore ricostruisce tutta l’operazione per trasportare Falcone e Borsellino, con le rispettive famiglie, all’Asinara – movimentando mezzi corazzati e gazzelle, facendo crescere la tensione sino al momento dell’atterraggio – ha un timing perfetto, figlio di una narrazione cinematografica che omaggia i maestri della suspense britannica.

C’è l’omaggio al lavoro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – uomini di legge e di principi ma anche straordinariamente pieni di vita, interessi e passioni senza la quasi inevitabile, universale tendenza a farne dei santi – tramite il quale De Lisi riporta in prima linea un racconto di mafia nella vita della città di Palermo, raccontando quella anormalità che ha segnato una stagione chiave per la lotta fra lo Stato e la criminalità organizzata.

Una ragione in più perché “Un’estate a Palermo” – nel frattempo l’autore è al lavoro sul seguito, dedicato al 1986 – venga portato d’imperio fra i lettori più giovani, coloro che non hanno vissuto quegli anni di piombo e sangue, rinnovando la memoria affinché nessuno si senta legittimato a dimenticare. Pagine di fiction e memoria che potranno germogliare a contatto con giovani menti che conoscono Capaci e Via d’Amelio ma non hanno alcuna memoria della lotta vivissima e del maxiprocesso.

La chiave, come anticipato, sta in quell’atto di coraggio e lucida follia, la creazione di un personaggio con un proprio vissuto, punti deboli e virtù, posto al centro dell’azione sulla strada, a tu per tu con i protagonisti reali, puntellando il racconto con una attenta ricerca dei fatti, narrando particolari piccoli ma significativi.

E allora, ecco le fughe verso il mare all’Asinara, gli scherzi di Borsellino, il motore del Benelli che non si accende e quel sombrero – clamoroso, fuori luogo, iperbolico – con cui Giovanni Falcone rimirava il mare da brividi della Sardegna. È tutto accaduto davvero (lo ricorda l’odierno unico abitante dell’Asinara intervistato dall’autore): questo romanzo apre le teche e avvicina i miti al lettore, perché li si possa guardare negli occhi. Con rispetto.

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