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I cent’anni di Rosalia la piccola addormentata

Prima o poi si sveglierà anche lei: basta credere in Dio, o soltanto nelle fiabe. Ma intanto continua a dormire nell’umida cripta dei Cappuccini di Palermo. L’artista che la imbalsamò poche ore dopo la morte ( avvenuta il 6 dicembre 1920 a causa di una polmonite) riuscì a imprimere sul suo volto « le sembianze di un riposo assoluto, dove disciogliere ogni paura, ogni timore»: così Dario Piombino-Mascali nel libro dedicato alla celebre Rosalia Lombardo e ora pubblicato da Dario Flaccovio Editore.
Il titolo – “ Lo spazio di un mattino” – è mutuato dai versi di François de Malherbe dedicati a un’altra bambina, Marguerite du Périer, vissuta tre secoli prima di Rosalia e morta a cinque anni ( Ma lei era di quel mondo dove le piu? belle cose / hanno il peggior destino, / e, rosa, lei ha vissuto quel che vivono le rose, / lo spazio d’un mattino). E in effetti il libro di Piombino-Mascali non racconta soltanto la storia di Rosalia ( citata nel racconto di Gabriel Garcia Marquez “ La santa”, nei “ Dodici racconti raminghi” ), della sua famiglia e di una Sicilia in bilico tra modernità e arcaiche tradizioni popolari. Non dipinge solo l’enigmatica figura di Alfredo Salafia, il maestro imbalsamatore che da via Isidoro Carini giunse a conquistare il mercato di New York prima di cadere nell’oblio. E non è solo un saggio sulla medicina del passato o un dettagliato resoconto delle indagini scientifiche finora condotte sulla “ bella addormentata” di Palermo. È un libro sui bambini (mai diventati adulti). Un inchino soave all’infanzia spezzata di ieri e di oggi.

«Il lettore – scrive Salvatore Ferlita in una densissima introduzione avrà modo di immedesimarsi nel dolore della perdita, nella lacerazione della dipartita perché qui l’autore si fa carico della pena infinita legata alla morte dei bambini. Anzi – continua Ferlita – questa immedesimazione lo porta a far luce sulla grande questione della mortalità infantile, oggi guardata alla stregua di un tabù, eppure ancora da qualche parte drammaticamente diffusa. Da qui l’amorevole ricostruzione delle emozioni, delle reazioni, delle pratiche, ma anche dei contravveleni utilizzati per esorcizzare la dipartita dei bambini in Sicilia».
Si pensi che dondolarne le culle vuote significava procurare loro dolori al ventre se non addirittura la morte. Di qui l’uso di ciondoli e amuleti da appendere al collo dell’infante: cornetti, manine di corallo riproducenti il gesto delle corna contro il malocchio, medagliette di santi, in un miscuglio inestricabile di sacro e profano. « Un corpus di superstizioni – scrive l’autore – un inventario di cose da fare o da evitare per scongiurare il più possibile l’altissima mortalità infantile. Atteggiamenti e precauzioni che si potrebbero leggere come esempi di medicina popolare, del tutto alternativa a quella ufficiale » . Sappiamo da Pitrè che davanti al corpicino senza vita di un bambino ( vegliato quasi esclusivamente da donne) non si piangeva: sarebbe stata un’offesa a Dio che l’aveva chiamato tra gli angeli del paradiso. La verità è che le morti precoci erano messe nel conto. Erano cioè all’ordine del giorno. Tanto che non sempre i piccoli defunti venivano ricordati tra i membri della famiglia. «Il decesso prematuro – spiega ancora Piombino-Mascali – era considerato un evento a parte, a cui erano negate anche le lacrime, nonostante sia innegabile come la situazione reale dovesse essere più complessa di quanto non emerga dai documenti».
Ma le mummie dei bimbi hanno “ sufficiente voce” per raccontare ciò che sono stati e come hanno vissuto, com’erano i loro tempi, i luoghi e le persone che li circondavano. Non mancano esempi in proposito. Si pensi a Plautilla Indelli conservata a Monopoli. O ai tre figli del ministro delle finanze del Regno di Napoli, Jean Antonine Michel Agar, durante la monarchia di Murat. O a Zoltàn Arànyi, sei anni, che suo padre, il grande patologo ungherese Lajos, mise su una seggiola adagiata sulla propria scrivania: « tutto ciò non può non colpire profondamente anche chi ne studia i resti da un punto di vista scientifico» , chiosa Piombino- Mascali, di professione “ mummiologo”, i cui studi in antropologia fisica partono dall’università di Pisa, passano da Palermo ( nel 2007 ha scoperto la formula chimica dell’impeccabile conservazione di Rosalia) e arrivano fino in Sud America.
Nel mondo andino moderno, continua l’autore riprendendo le ricerche di un’archeologa sudamericana, «i decessi di bambini particolarmente piccoli vengano onorati con specifiche esequie denominate velorios del angelito”. Veglie festive in cui non manca neanche da bere. « Il fondamento di tanta allegria è la credenza che i piccoli, in ragione della loro purezza, si convertano in intercessori per i loro familiari. Per non rattristare questi giovani spiriti, si evita dunque di piangere, poiché le lacrime impedirebbero loro di volare via. Alla luce di questa preziosa testimonianza – si chiede il mummiologo – «come non pensare a un elemento transculturale che caratterizza la perdita dei più piccini, a una sorta di sentire comune in cui l’animo umano trova consolazione?».
Insomma, “ angelitos” e “ belle addormentate” incarnano un archetipo che attraversa i tempi. Così come le fiabe in cui sonno, morte e risveglio si intrecciano in un groviglio di significati ora palesi ora oscuri. Conclude Piombino-Mascali: «I palermitani ( e, con loro, i turisti) hanno soprannominato la piccola Rosalia Lombardo “ la bella addormentata”. Quasi che in questo appellativo sia contenuta la speranza che la morte di una bambinapossa tramutarsi in un riposo che, per quanto lungo e denso, alla fine porti a un risveglio».Original Article

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