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Dopo il parto il neonato può stare con la mamma positiva senza sintomi, il rischio contagio è bassissimo

Il rooming-in – ovvero la pratica che porta la mamma a tenere con sé il neonato durante il ricovero in ospedale – può essere effettuato anche ai tempi del Covid-19. O meglio, deve, perché i benefici riguardano entrambi i protagonisti e sono superiori al rischio infettivo.
Con l’esito di uno studio condotto arruolando 62 gestanti lombarde costrette a partorire da positive al Sars-CoV-2, i neonatologi italiani sperano di aver posto un tassello fondamentale a supporto della pratica anche quando si è di fronte a una donna infetta, ma asintomatica o con pochi segni della malattia. Il "rooming-in" – come il contatto pelle a pelle subito dopo il parto e l’allattamento al seno – è una pratica che apporta una serie di benefici di cui il neonato non può essere privato nemmeno in tempi di pandemia.

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Rooming-in anche se la mamma è positiva (in buone condizioni)

Il lavoro, pubblicato sulla rivista Jama Pediatrics da un gruppo di neonatologi e virologi di alcuni tra i più grandi ospedali della Lombardia, sgombera una volta per tutte il campo dai dubbi. A un anno circa dall’arrivo del Covid-19 in Italia, oggi si può dire che alcune pratiche connesse al parto sono sicure anche quando coinvolgono una donna positiva all’infezione da coronavirus: avendo come presupposto la sua buona salute e l’assenza di sintomi non preoccupanti. Su questo punto, proprio gli specialisti sono apparsi rassicuranti fin dalla scorsa primavera. "Rooming-in, pelle a pelle e allattamento al seno non devono essere messi in discussione", ha ripetuto a più riprese Fabio Mosca, direttore dell'unità di Neonatologia e terapia intensiva neonatale dell'ospedale Maggiore Policlinico di Milano e presidente della Società Italiana di Neonatologia. C’è anche la sua firma in calce all’ultimo studio, secondo cui se mamma (positiva) e bambino stanno bene, non devono essere separati soltanto perché c’è di mezzo il Covid.

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A questa conclusione, gli specialisti sono giunti dopo aver monitorato 62 gestanti chiamate a partorire negli ospedali di Milano (Policlinico e Niguarda), Pavia (policlinico San Matteo), Bergamo (Papa Giovanni XXIII), Seriate (Bolognini), Monza-Brianza (San Gerardo) e Varese (Del Ponte) tra la metà di marzo e i primi di maggio.
Durante la degenza, tutte erano positive al Sars-CoV-2. Ma in condizioni compatibili con il "rooming-in", in un’area isolata del puerperio: come raccomandato dalla Società Italiana di Neonatologia per le mamme positive al test, ma asintomatiche. Osservando per 20 giorni il decorso dei lattanti, i medici hanno scoperto che soltanto uno ha contratto l’infezione nel periodo trascorso accanto al letto materno.

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La diagnosi dell’infezione è avvenuta a sette giorni dalla nascita, anche se già da 48 ore mamma e bambino erano stati separati a causa del peggioramento delle condizioni della prima. Considerando che il 95 per cento dei nati si alimentava al seno, lo studio ha fornito dunque una doppia rassicurazione. Con le dovute precauzioni – dall’igiene delle mani e delle superfici all’uso della mascherina da parte della mamma positiva – né il rooming-in né il contatto ravvicinato per la poppata rappresentano un rischio per il neonato.

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I benefici del rooming-in

D’altra parte già nel documento diffuso dalla Società Italiana di Neonatologia il 28 febbraio, con il lockdown lontano ancora una settimana, l’indicazione era quella di "privilegiare la gestione congiunta di madre e bambino, ogni qual volta possibile" e di valutare la separazione a fronte "di una mamma che presenti tosse, febbre e secrezioni respiratorie". Per le mamme positive al test, ma asintomatiche, la prima raccomandazione è stata quella di "ricoverarla in un’area isolata e dedicata del puerperio, in regime di rooming-in, favorendo l’allattamento al seno".

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Buone pratiche che sono state poi riprese in tutti i Paesi colpiti dalla pandemia. E che hanno dato i frutti sperati. La protezione dei neonati è stata quasi sempre garantita. Dai dati in possesso della Società Italiana di Neonatologia, infatti, soltanto il 2.5 per cento dei bambini messi al mondo da mamme positive è stato contagiato. Al contempo, si è fatto il possibile per garantire le buone pratiche del post-partum.

Spiega il neonatologo Riccardo Davanzo, presidente del Tavolo Tecnico sull’Allattamento del ministero della Salute. "I benefici del rooming-in vanno dal corretto avvio dell’allattamento all’opportunità che viene offerta alla mamma di interagire con il neonato con la supervisione di medici, infermieri e ostetriche. A ciò occorre aggiungere che, in questo modo, il personale sanitario ha l’opportunità di intercettare un’eventuale condizione di disagio psicologico e di avviare anche l’assistenza a livello territoriale, cruciale nel momento in cui mamma e bambino saranno fuori dall’ospedale".

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Allattamento al seno quasi sempre possibile

Considerando che l’infezione da Sars-CoV-2 nei neonati finora è risultata nella maggior parte dei casi asintomatica o comunque in grado di determinare quadri non preoccupanti, lo studio spazza via anche le remore residue riguardanti l'allattamento al seno da parte delle donne positive (asintomatiche o paucisintomatiche). Il rischio di trasmissione attraverso il latte è considerato marginale per scoraggiare una pratica che invece è benefica: tanto per il neonato quanto per la mamma.
Per gestire il rischio, bastano quasi sempre la mascherina chirurgica e un lavaggio frequente e accurato delle mani. Diverso invece il discorso se il Covid-19 impedisce alla mamma di prendersi cura del suo bambino o determina la comparsa di sintomi quali la febbre (oltre 38), la tosse e l’alterazione di alcuni parametri vitali (fino alla necessità di fare ricorso all’ossigeno). In questi casi, con la mamma costretta alla separazione dal bambino, gli esperti raccomandano di alimentarlo sempre con il latte materno, raccolto a mano o con il tiralatte elettrico.

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