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Carlo Sironi: “Una vita sul set grazie a papà”

Carlo Sironi, 37 anni, con Sole è la rivelazione agli Efa 2020, i premi del cinema europeo. Per il film è il traguardo di un viaggio che dalla Mostra di Venezia 2019 ha fatto il giro dei festival e incontrato il pubblico in tanti paesi. È una storia di maternità surrogata, l'incontro tra una giovane che aspetta un bambino e il ragazzo che deve fingere di esserne il padre. Sironi ha dedicato il premio al padre Alberto, regista per Il commissario Montalbano, scomparso nel 2019.

Come descrive il suo "Sole"?
"È la storia di due ragazzi che non si sono mai presi cura di nessuno, neanche di se stessi e che inaspettatamente s'innamorano. È un film sui meccanismi, anche inconsapevoli, dell'attrazione. Per me era importante sottolineare le contraddizioni e i conflitti della maternità surrogata messa in atto in modo illegale, cinico. Partendo da un punto di vista lucido: quello di un ragazzo pagato per fingere di essere il padre. All'inizio non ha nessun interesse verso la bambina, poi scoprirà che è la tenerezza dei sentimenti che ci fa andare avanti nella vita".

Cosa, secondo lei, ha conquistato gli 800 giurati dell'Efa?
"Forse la sincerità del film e il tentativo di semplicità, di andare all'osso riguardo certi sentimenti che appartengono all'essere umano e i cambiamenti che ci attraversano. Paolo Taviani, presentandolo alla Berlinale, lo ha definito un film controcorrente, nel senso che riutilizza approcci e meccanismi del cinema classico andati un po' perduti negli ultimi anni".

Le ha scritto per la vittoria?
"Mi ha mandato un messaggio: 'Hanno capito il film'. Mi ha reso felice".

Claudio Segaluscio e Sandra Drzymalska nel film Sole

Alla cerimonia ha dedicato il premio a suo padre.

"È stato naturale. Mi chiedo spesso se avrei fatto questo mestiere se non avessi avuto un padre regista. La sua educazione mi ha influenzato".

L'ha educata alla letteratura, prima che al cinema.
"Era un grande lettore e mi leggeva tante storie, mi ha contagiato. È stata la prima forma di racconto che abbiamo condiviso".

Ricorda la prima volta sul set?
"La prima che ricordo bene è stata a 11 anni, su set di Il grande Fausto sulla vita di Coppi. Alberto – mi viene spontaneo chiamarlo così quando parlo di lui a chi lo conosceva come personaggio pubblico, in famiglia per me era papà – mi ha voluto per interpretare il ragazzino che accompagnava il preparatore atletico cieco, Bruno Ganz. Volle anche la mia sorellina, era felice di averci lì con lui. Non ho visto grandi differenze tra il padre e il regista. E a far l'attore non ho mai pensato".

Cinema, dalla Biennale allo Scacciapensieri il "Sole" di Carlo Sironi

Ha fatto una lunga gavetta.
"Frequento il set da sempre, ma fino a 25 anni ero nel reparto fotografia. A un certo punto ho capito che avevo una storia da raccontare, il corto Sofia, mostrato al festival di Torino. Il momento più bello è stato la sera prima delle riprese, dormivo sul set, ma sono rimasto sveglio con il cuore che scoppiava dall'emozione".

Piaceri e dispiaceri dell'essere figlio d'arte?
"Alberto è una figura che ha avuto una carriera lunga e riuscita, in tanti lo hanno conosciuto. Spesso mi dicono 'ho conosciuto tuo padre, tu non sai com'era…' come se l'intimità del set glielo avesse fatto conoscere meglio di me. Avevo un legame forte e quotidiano con lui. Non parlavamo tanto di lavoro, eravamo padre e figlio, ci raccontavamo la vita, ci confrontavamo. Di Montalbano parlavamo, certo, ma meno di quanto si pensi. Era fiero che stessi girando il film da regista. Non è riuscito a vederlo prima che lo finissi, sarebbe stata la prima persona a cui l'avrei mostrato".

Sta scrivendo un nuovo film.
"Sì. È una storia di sorellanza, due ragazze si incontrano in una situazione critica e si scoprono forti insieme. Decidono di fuggire e vivere la loro prima vera estate. È ambientato a fine anni 90. Avevo 16 anni e guardavo le mie amiche, il loro modo di comunicarsi sentimenti e stati d'animo era così forte e diretto che mi è rimasto dentro".

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