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Silvia De Dominicis: “La mia carriera è nella sanità, ma quando decido mi metto sempre dalla parte del malato”

Per lei vale la famosa citazione: la curiosità è per il viaggio, non per la destinazione. Nella vita privata come da manager di una grande industria, professione che le ha dato ampie soddisfazioni se Silvia De Dominicis è dal 2018 presidente e amministratore delegato di Johnson & Johnson Medical Italia.

Romana, 52 anni, diploma di liceo scientifico, laurea in Economia all’università Luiss, madre di due figlie, ha iniziato in J&J nel 1995, ricoprendo ruoli di crescente responsabilità a livello nazionale e internazionale nelle aree operations, vendite e marketing. “Per me era importante la scelta dell’azienda e dei suoi valori”. Fa parte dell’associazione ‘Healthcare business women’s association’ (Hba), che promuove lo sviluppo delle donne nel settore sanitario in tutto il mondo. A giugno di quest’anno è stata inoltre nominata vicepresidente di Confindustria Dispositivi medici, ed è sponsor dell’organizzazione medica umanitaria Operation Smile, che riunisce volontari da oltre 80 Paesi con l’obiettivo di migliorare la salute di bambini affetti da labbro leporino, labioschisi e labiopalatoschisi.

Il Gruppo J&J, fondato 134 anni fa negli Stati Uniti, a New Brunswick nel New Jersey, da quattordici impiegati di cui otto donne, nasce con una linea di prodotti medicinali e di dispositivi sanitari, fattura 82 miliardi dollari e impiega 133 mila persone. Investe undici miliardi di dollari l’anno in ricerca e sviluppo e con questo dato è all’ottavo posto a livello mondiale. In Italia con 700 lavoratori ha sede a Pomezia, vicino Roma, per i prodotti medicali, e a Cologno Monzese per la farmaceutica e fattura 550 milioni di euro. Johnson & Johnson Medical sviluppa e commercializza dispositivi per varie destinazioni: chirurgia generale, ortopedia, cura della vista, dell’obesità, osteartriti, protesi mammarie, cardiologia e radiologia interventistica, traumatologia in chirurgie complesse.

Durante l’emergenza Covid 19, l’azienda ha garantito da subito la sicurezza dei propri dipendenti, e la continuità dei magazzini e della parte logistica per le forniture agli ospedali. Per l’utilizzo delle tecnologie più innovative nelle sale operatorie ha garantito il supporto di ingegneri biomedicali, “perché non si muore solo di Covid”. Ha distribuito farmaci a domicilio agli anziani e ha contribuito a riconvertire in tempi rapidi reparti e sale operatorie degli ospedali grazie alle proprie soluzioni digitali. Insieme alla Fondazione J&J ha fatto donazioni alla Croce Rossa Italiana per assicurare dispositivi a protezione di medici e infermieri di Lombardia e Lazio.

L’ingresso nel mondo del lavoro per Silvia De Dominicis è stato ritardato da un evento imprevisto. Una storia personale irta di difficoltà. “Dopo la laurea ho avuto un cancro alle ossa, una patologia difficile, ho fatto un trapianto, sono stata per due anni sulla sedia rotelle”. Nonostante ciò ha iniziato una serie di colloqui per trovare lavoro. “Quando ho scoperto che l’azienda dove sono oggi aveva a che fare con gli ospedali, ho detto dio mio no, basta. Invece a tutto c’è un perché: era giusto entrare per portare un pezzettino di me nella cura delle persone. Quando dobbiamo prendere una decisione immaginiamo di stare stesi su un lettino di sala operatoria e guardiamo da quella prospettiva: io ci sono stata 17 volte”.

Superato il primo ostacolo arriva un secondo cancro “piuttosto maligno. All’inizio è uno choc, ti domandi perché a me, ci ho messo quattro mesi prima di darmi una risposta”. Chemioterapia per un anno, “all’epoca si faceva 24 ore su 24, hai tanto tempo per riflettere. Era il 1992, dichiarato dalla regina Elisabetta l’annus horribilis, per la grave crisi economica. Non è che i posti di lavoro piovessero dal cielo. Ho dovuto dire di no, e mi è costato”.

Non è finita lì però perché l’azienda ha deciso di puntare su di lei e due anni dopo Silvia De Dominicis approda alla direzione finanziaria di J&J. “Il fatto di non essermi chiarita le idee fino in fondo su ciò che volevo fare mi è servito, avevo una mentalità aperta. E mi sono impegnata nel controllo di gestione, tesoreria, lavori più tecnici, anche molto maschili. L’unica donna in quegli uffici ero io. Appena arrivata avevo i capelli cortissimi, alta e molto magra, senza sopracciglia. Mi scambiavano per un uomo. Qualcuno mi chiese: ma sei una donna? perché il capo qui di donne non ne assume”. Cinque anni dopo, a 32 anni, diventa mamma di Ilaria, “rimasi incinta in viaggio di nozze, e mi avevano detto che non avrei potuto avere figli. La bambina che oggi ha 21 anni, è nata con una malformazione cardiaca, “ha subito tre interventi a cuore aperto, l’azienda mi ha supportato tantissimo”. Ora Ilaria è al terzo anno di Medicina all’Humanitas a Rozzano, Centro Covid”. Dopo 22 anni un altro strappo, questa volta familiare, la separazione dal marito. Silvia De Dominicis non si è mai fermata.

“Non ho avuto una carriera solo verticale. Ancora una volta arriva il tema del viaggio, mi sono mossa anche orizzontalmente nelle varie funzioni finanziarie, nei diversi business, mi hanno fatto dirigente a 32 anni, mi chiedevo se non fossero troppo pochi per inscatolarmi in una mansione. Ho chiesto all’azienda di poter imparare qualcos’altro”. Dal finance alla supply chain, la gestione delle risorse e delle attività logistiche dell’azienda. Dopo due anni e al ritorno dalla seconda maternità, di Flavia che oggi ha 18 anni, le viene assegnata la parte del business operation, con gare, clienti, procedure concorsuali, magazzini, anche lì un ambiente molto maschile. “Inaspettatamente per me è stata un’esperienza straordinaria. Ho imparato che ogni ruolo ti dà uno sguardo incredibile sulla realtà. Ho dovuto anche studiare, è stato bellissimo, mi si è aperto il mondo: il finance guarda alla realtà tramite i numeri, l’altro mi ha dato il contatto con la vita, in diretta”.

La domanda che la top manager si pone è: che tipo di impatto sto cercando di creare? La risposta sta nel concetto di valore che è alla base della modalità di cura. “La sanità in Italia ha subito dei tagli di budget assurdi. Noi vogliamo portare la standardizzazione nel processo di assistenza ai pazienti, un criterio di equità. L’azienda vuole intervenire sulle patologie che affliggono gli ospedali, quelle che sfidano la sopravvivenza, le malattie croniche che consumano più di altre le risorse dei sistemi sanitari”.

L’azienda statunitense si pone l’obiettivo di migliorare gli standard di cura che consentono di trattare più persone con risultati positivi e benefici sulla qualità della vita, riducendo i costi di tutto il percorso sanitario. “Gli Stati non riescono ad affrontare l’aumento di queste malattie specie per una popolazione che invecchia, come nel caso dell’Italia. C’è bisogno allora di cure mirate, patient centric, possibili grazie all’evoluzione culturale e al contributo della tecnologia. Il nostro paese ha la grande opportunità di incrementare la digitalizzazione attraverso cui si permette alle persone di curarsi senza restare troppo a lungo in ospedale. La sfida quindi è ridurre il tempo dei ricoveri in condizioni di sicurezza. Quanti giorni di degenza si possono risparmiare con una laparoscopia, per esempio, o nell’applicazione di protesi? Si tende a trattare i pazienti prima che arrivino in sala operatoria, e a riportarli in condizioni di benessere al più presto possibile, perché stare male è negativo per tutti. Dobbiamo aiutare gli ospedali e i sistemi sanitari pubblici e privati che si occupano di patologie complesse a supportare il paziente in maniera efficiente”.

J&J Medical ha saputo riadattare interi reparti e adibirli alla cura del Covid portando la tecnologia just in time, riconvertire i programmi di formazione, utilizzare la realtà virtuale e le tecnologie a distanza. “Dobbiamo coltivare e valorizzare le eccellenze della nostra classe clinico-chirurgica. Esserne fieri come italiani”. A Napoli, per esempio, J&J ha realizzato prima del Covid, la campagna ‘#Io mi curo al Sud’ con risultati positivi. “Con l’Istituto dei tumori Pascale e con la Regione Campania, abbiamo lavorato sul cancro rettale, dalla diagnosi alla colonscopia, un team tumor board, fino alla fase post intervento. Ci sentiamo in prima linea con tutti gli operatori che entrano nel percorso di cura del paziente, dalla sala operatorio al suo recupero, alla fisioterapia”.

Educata in famiglia al concetto di impegno nel lavoro e nella società, Silvia De Dominicis ne ha fatto la sua cifra esistenziale. “Sì l’impegno, nella cultura, nelle arti, nella società. Mio padre come dirigente della pubblica amministrazione si è occupato di sequestri di beni alla mafia e dell’emergenza terremoto. I miei nonni avevano ognuno tre lauree, mia nonna era laureata, erano professori universitari, uno avvocato e senatore della repubblica. Noi siamo tre sorelle, viva le femmine. Ci ripetevano: studia e lavora con coscienza”.

Dopo tanti viaggi per lavoro il suo in azienda è diventato un ruolo internazionale. “Avevo ufficio ad Ascot, in Inghilterra, ero spesso in giro per l’Europa, Medio Oriente e Africa, in un anno sono stata tredici volte in America. Ho potuto guardare l’azienda in tutte le sue realtà, conoscere culture diverse e la bellezza del mondo. Questo mi ha fatto appassionare al significato profondo della diversità”. L’associazione ‘Wli, women’s leadership inclusion’ le ha chiesto tre anni fa di diventare la leader di un gruppo di 8000 donne e uomini a livello mondiale, con 70 paesi coinvolti. L’obiettivo è identificare e rimuovere gli ostacoli che si frappongono all’avanzamento delle donne, alla loro rappresentatività nello sviluppo dell’organizzazione, dalla diversità culturale all’età, fare un generation bridge. “Sto cercando di importare culture differenti, avere più ricchezza di vedute è la via per trovare soluzioni”. Johnson & Johnson prevede periodi di paternità molto più lunghi di quelli stabiliti dalle legislazioni di vari paesi. In azienda vale il self initiative, lo stimolo a fare di più, una catena virtuale positiva con programmi di sponsorship lungo tutto l’arco della vita professionale della donna.

Le cose che le piacciono: viaggiare con la famiglia, stare con gli amici. “La mia vita è fatta di cose semplici, mi rendono felici quelle che facciamo con la nostra impresa, ho l’ambizione di portare un impatto di benessere sulla vita delle persone”. Alle giovani donne in carriera consiglia di non innamorarsi dei gradi da conquistare, “serve veramente a poco; importa cosa impari lungo il cammino”.

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