Sconcertante. Da tempo quest'aggettivo insegue e tampina, nei giudizi recensivi, il ventinovenne russo Daniil Trifonov, star del pianismo internazionale che per bravura non ha confronti nella sua generazione. È uno di quei casi fenomenici che a un certo punto, in un'arte, giungono a scompaginare schemi e aspettative.
Timido o imbarazzato negli ingressi in scena, espone il proprio demone quando affronta la tastiera, dispiegando un mix di sorprese appunto "sconcertante". Intensità espressiva, vigore alternato a isole di delicatezza, facoltà d'imprimere allo strumento il lirismo del canto, esplorazione di ogni sfumatura. La sua tecnica è formidabile, ma si sa che ciò non basta. A lanciarlo in alto è il genio "narrativo". Che esegua Chopin o Liszt, Schumann o Rachmaninov (autori finora prediletti), questo pianista che non sorride mai riesce a porgerci il "racconto" di un brano. Nato nel '91 a Niznji Novgorod, in Russia, e trasferitosi presto negli Stati Uniti (dopo gli studi a Mosca si è perfezionato a Cleveland), percorre una carriera stellare già da qualche anno. Sono favolose le sue incisioni, come il doppio cd uscito da poco per Deutsche Grammophon. È il suo dodicesimo album, lo ha registrato con la Mariinsky Orchestra diretta da Valery Gergiev e s'intitola Silver Age "in riferimento all'età d'argento della musica russa", spiega Daniil dalla sua casa di New York, dove vive con la moglie Judith Ramirez. Forse in occasione della recente paternità, s'è fatto crescere un barbone da uomo maturo che gli dà l'impronta di un cupo eroe dostoevskiano.
Trifonov, può spiegare il significato di "Silver Age"?
"Di solito si parla di età d'argento in rapporto alla poesia russa tra la fine del diciannovesimo secolo e i primi due o tre decenni del ventesimo. Comprende nomi forti quali Alexander Blok, Boris Pasternak, Anna Achmatova… Ma in generale l'epoca, più che a una singola estetica, corrisponde alla multilinguistica dimensione creativa esplosa negli anni antecedenti alla rivoluzione bolscevica, che schiacciò l'argento della fantasia sotto il peso dei dogmi leninisti. Prima d'allora gli artisti russi spiccavano per tremenda originalità, e a Parigi l'impresa dei Ballets Russes di Diaghilev li aveva rivelati alle avanguardie europee. Il convergere di numerose correnti estetiche e filosofiche suscitò in Europa un cocktail di "ismi": espressionismo, impressionismo, fauvismo, futurismo, cubismo, acmeismo, simbolismo, anarchismo mistico… Si scatenò un frullatore di idee a cui i russi erano profondamente connessi. A quest'onda appartengono pure i tre musicisti scelti per il mio album: Scriabin, Stravinsky e Prokofiev".
Molto differenti tra loro.
"È l'eterogeneità del ciclo "argenteo" a determinare il suo magnetismo. Scriabin era un mistico, che cominciò subendo l'influsso di Chopin e in seguito divenne post-wagneriano, ma identificando un linguaggio autonomo. Il suo Concerto per pianoforte e orchestra op. 20, incluso nel disco, è estraneo al romanticismo chopiniano e viaggia in zone armonicamente avventurose. Insieme a Rachmaninov, Scriabin è la punta di diamante del gruppo di compositori russi fioriti nel passaggio dall'Ottocento al Novecento. Tuttavia Rachmaninov fissava ancora l'orizzonte del futuro con desiderio, mentre il simbolista Scriabin seppe scavalcarlo: il suo estro ne superò il confine. La sua musica ha lo stesso respiro della lingua russa nell'ambito della poesia. Interessato alla filosofia, e soprattutto a Nietzsche e ai pensatori teosofici, era ossessionato dalla simbiosi fra luce, colore, movimento e suono, e scrisse opere che testimoniano una ricerca di trascendenza spirituale".
Sono climi lontani da Stravinsky.
"Non del tutto. Il lirismo seduttivo del finale dell'Uccello di fuoco stravinskiano ("Danza infernale" e "Ninna nanna") è vicinissimo a Scriabin. Ma Stravinsky fu un camaleonte che cambiò più volte aspetto. L'eterodossia dell'epoca d'argento, con la sua fusione di antico e nuovo, caratterizzò la sua intera attività, scandita da un moto incessante tra forme antiche e prospettive moderne. Dall'iniziale stile legato alla sua Russia approdò al neoclassicismo, per poi sperimentare il serialismo e persino il jazz. Da giovane fu un grande unificatore delle arti attraverso la sua esperienza nel teatro e nella danza, grazie alla sua intesa con Diaghilev, il quale gli commissionò pezzi fondamentali. Un prodotto della sua generosa fase diaghileviana è proprio L'uccello di fuoco, basato su una fiaba russa e presente in questo disco come Suite per Piano. Dimostra bene la sapienza con cui Stravinsky introdusse nelle sue partiture il patrimonio del folclore. Prima di lui la musica classica quasi non contemplava questo genere di contaminazione. Sono rare le eccezioni, come il finale della Quarta Sinfonia di Ciaikovsky, che incorpora una famosa canzone popolare".
Lei ha definito Stravinsky un radicale anti-romantico.
"Lo è. Faccio un solo esempio: nulla è meno sentimentale del secondo movimento (Romanza) della Serenata in La, un pezzo neoclassico che interpreto in questo disco. Eppure lo aveva dedicato a sua moglie. Stravinsky non riversò mai le proprie emozioni nell'arte. Ovunque, nei brani che scrisse, percepiamo la sua "firma" d'autore. Ma i suoi sentimenti rimangono segreti".
Nella sua indagine sull'età d'argento c'è infine Prokofiev, che fu tra l'altro un compositore ideale per il cinema.
"Si tuffò in quel linguaggio, che lo affascinava, a metà degli anni Trenta, collaborando col regista sovietico Sergei Eisenstein per film celebri come Alexander Nevsky e Ivan il terribile. Aveva sviluppato in una cifra musicale descrittiva perfetta per accompagnare le immagini. Fin dalla gioventù era stato attratto dalla tecnologia in ogni forma, e si era invaghito della sconvolgente novità rappresentata dal telefono. Da ragazzo, quando studiava a San Pietroburgo, dopo le classi si divertiva a giocare a scacchi per via telefonica. Era un provocatore nato, che andava ai concerti con una carota al posto della cravatta. Si applica il termine "Silver Age" alle provocazioni sperimentali, ritmiche e fonetiche, della poesia russa avanguardistica emersa nella prima fetta del Novecento. I Sarcasmi op. 17 di Prokofiev, che suono nel mio album, hanno dissonanze e asprezze che riflettono lo stesso spirito acidamente ironico".
Vede un nesso tra l'età d'argento e il nostro tempo?
"Qualche parallelo c'è, sia nelle violente tensioni politiche che scuotono l'Occidente, sia nella mania delle innovazioni tecnologiche. In molti sostengono che questo sia un momento di decadenza creativa, ma io non sono d'accordo. Qui a New York ho cercato di andare il più possibile a vedere le mostre di opere contemporanee, e negli ultimi anni mi è sembrato tangibile il fermento straordinario delle arti visive"
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