Positivo al Covid, in isolamento per tre settimane, Pietro Sermonti racconta: "È peggio degli arresti domiciliari, dove magari ti viene a trovare qualche criminale e ti racconta una storia interessante". Niente sintomi, per fortuna, e quindi niente medicine, "solo molti tortellini". Quando ha messo il naso fuori per la prima volta, dopo la pausa forzata, gli è scesa una lacrima, dice, "facendo un bancomat e respirando l'odore di una marmitta". Sermonti parla così, per iperboli e paradossi: è guascone, spiritoso, si diverte a scherzare su tutto, da "non so se potrei fare il giudice di X Factor, mi commuovo troppo" a "l'ultimo tampone l'ho fatto con addosso una maglietta della Juve del 1982 che mi aveva portato fortuna una volta". Ed è per ridere e far ridere che interpreta un poliziotto sciagurato, scioperato e spinellomane in Cops. Una banda di poliziotti, la miniserie (il 14 e il 21 dicembre su Sky Cinema e in streaming su Now Tv) con regia di Luca Miniero.
Ispirata a un film svedese del 2003, ma ambientata in Puglia, racconta di una stazione di polizia diventata inutile perché nel paesino non avvengono reati. Per difendere il posto di lavoro, i poliziotti si mettono a delinquere. Seguono equivoci e colpi di scena. Nel cast ci sono anche Claudio Bisio, Stefania Rocca e Francesco Mandelli. Una commedia spassosa per questi mesi grami.
Sermonti, si può ridere anche delle forze dell'ordine?
"Io per indole rido di tutto e spero di continuare a farlo. Il mio personaggio, un poliziotto che si distrugge di canne, che pensa solo a mangiare, l'ho impostato tutto così eccessivo anche perché Cops l'abbiamo girato durante l'estate del 2019 e il ministro dell'Interno era Matteo Salvini. Adesso mi sembra tutto così lontano".
L'ansia del politicamente corretto però è sempre presente.
"Perché sono sempre presenti le forche caudine dei social che producono una valanga di conformismo, motivo per cui non li frequento".
In Cops lei è grassissimo. Immagino sia un trucco, non è ingrassato davvero come De Niro in Toro scatenato.
"Quella panza è un corpetto di gommapiuma, c'erano 40 gradi quando giravamo e quindi io sudavo da pazzi, infatti alla fine sono persino dimagrito! Mi sono divertito moltissimo a interpretare quest'uomo privo di energia intellettuale, questo divano che mangia e basta".
Non le dava fastidio vedere umiliata la sua bellezza, anche se per finta?
"Ci ha già pensato la vita a umiliarmi! Ormai sono un signore di mezza età, l'anno prossimo compio 50 anni e, dal punto di vista dell'appeal, ho già dato il meglio di me in passato".
Si riferisce a quando era il bel dottorino della fiction Un medico in famiglia? Che ricordi ha di quel momento in cui è diventato tanto popolare?
"Professionalmente, è stata la mia palestra. Personalmente, un momento anche traumatico. Improvvisamente uscivo di casa e tutti mi riconoscevano, sapevano chi ero. Allora ho iniziato a chiedermi chi ero davvero, perché io non lo sapevo ancora. Già venivo da un'adolescenza in cui ero stato odioso, egoista, arrogante. Ero bello, giocavo benissimo a calcio e mi comportavo malissimo. Ci sono voluti anni e un mio maldestro percorso di terapia e meditazione per diventare una persona frequentabile".
Suo padre, cioè Vittorio Sermonti, quali consigli le ha dato?
"I migliori, cioè nessuno tranne il privilegio di stargli accanto. Il mio babbo è diventato attore a sessant'anni andando in giro per l'Italia a divulgare Dante e da ragazzo aveva tradotto parecchi testi teatrali. Mi ha portato a vedere tanti spettacoli quando ero piccolo, sono stato nel camerino di Carmelo Bene, ho incontrato attori bravissimi. Mi ha acceso una passione per il teatro forse senza neanche pensarci. All'inizio, lui tifava molto per me calciatore, ma mi ha insegnato che l'italiano è l'unica lingua che ha tre parole diverse per dire quello che fanno gli attori, i musicisti e i bambini: recitare, suonare e giocare. Mi ha fatto capire quanto fosse ricco il verbo della vita che mi stavo scegliendo perché, sia il calcio che la recitazione, contengono sempre l'energia dell'infanzia, la gioia della musica e la voglia di raccontare storie".
Lei è nipote, da parte di madre, di Susanna Agnelli. È mai stato vittima di pregiudizi a causa della sua provenienza?
"All'inizio sì, ma ormai si è tutto molto annacquato. Per carità, ci deve essere ancora in giro gente che pensa che io abbia l'elicottero, però è un problema loro. Chi mi conosce sa come vivo e che l'elicottero non ce l'ho".
Netflix ha rimesso in circolazione la serie Boris, quella in cui lei interpretava l'insopportabile attore vanesio Stanis.
"Che bella cosa è stata Boris. E che bella cosa è ancora: quest'estate sono stato avvicinato da sedicenni che lo avevano scoperto su Netflix. Anche se oggi sembra girato con il Nokia, ha mantenuto una sostanza fortissima, è il frutto di una bellissima congiunzione di attori, produttori e sceneggiatori che si sono incontrati al posto giusto nel momento giusto".
Il recente revival di Boris ha avuto tanto successo che si è parlato di un remake o un sequel. Che ne pensa?
"Magari cambierò idea, ma al momento mi sembra difficile: siamo tutti invecchiati, a cominciare da me. E non c'è più Mattia Torre, uno dei creatori, mio amico fraterno da quando eravamo ragazzi. Mattia è mancato proprio mentre io giravo Cops in Salento. Non è stato facile trovar la forza di far ridere, certi giorni".
Sul Venerdì dell'11 dicembre 2020Original Article
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