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Clima, cinque anni dopo Parigi. “Dichiarate lo stato d’emergenza”

ROMA-LONDRA – L’assordante assenza degli Usa, in un consesso mondiale contro il cambiamento climatico, è risaltata immediatamente. Non a caso, ieri mattina il presidente eletto Joe Biden aveva annunciato: «Gli Stati Uniti torneranno nell’accordo di Parigi il primo giorno della mia presidenza». E così il collega francese Emmanuel Macron ha subito salutato le intenzioni del prossimo inquilino della Casa Bianca: «Americani, bentornati a casa!».
Questo perché ieri erano cinque anni esatti dagli storici accordi di Parigi sul clima abbandonati dagli Usa di Donald Trump e sempre ieri, per l’occasione, si è tenuto online il vertice mondiale sul clima “Climate Ambition”, un pre-summit dell’atteso Cop26 di Glasgow nel novembre 2021, organizzato da Regno Unito e Italia. Uno alla volta, decine di leader mondiali hanno ribadito il loro impegno contro il “climate change”. Oltre agli Usa hanno disertato il summit altri grandi Paesi recalcitranti rispetto alla prospettiva di tagliare le emissioni di CO2 e abbandonare i combustibili fossili, come Brasile, Australia e Arabia Saudita.
D’altra parte il summit aveva l’obiettivo non di registrare l’esistente, le promesse già fatte e raramente mantenute. Ma di andare oltre, di darsi obiettivi ancora più ambiziosi rispetto a quelli fissati cinque anni fa a Parigi. Anche perché nel frattempo la situazione è peggiorata e ai ritmi attuali di emissioni di anidride carbonica entro il 2100 l’innalzamento medio della temperatura sarà più vicino ai 3 gradi centigradi che all’1,5 fissato dagli Accordi del 2015.
Per questo, ieri il presidente dell’Onu António Guterres ha esortato i leader a dichiarare «lo stato di emergenza climatica» nei loro Paesi. Poi è toccato a Boris Johnson, che ha ribadito la rivoluzione verde annunciata qualche settimana fa: zero emissioni entro il 2050, stop alla vendita di auto a benzina o diesel dal 2030 e tanta energia pulita: «Saremo l’Arabia Saudita del vento».
Ma la notizia l’ha portata la Cina. Intervenendo da Pechino, il presidente Xi Jinping non solo ha confermato gli obiettivi del dragone annunciati di recente, come le zero emissioni entro il 2060, ma ieri ha annunciato ulteriori promesse, come quello di tagliarle del 65% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2003. «Questa cruciale sfida ambientale si può vincere solo tutti insieme», ha rimarcato Xi punzecchiando Trump: «La Cina rispetta sempre gli impegni presi».
Macron ha ribadito invece l’annuncio di ieri dell’Ue, ossia il taglio collettivo del 55% delle emissioni entro il 2030 e del 100% entro il 2050, e per lo stesso obiettivo si è impegnato anche Papa Francesco in Vaticano: «Le misure contro il climate change non sono più rinviabili», ha detto il pontefice. Mentre il premier Giuseppe Conte ha sottolineato che «l’Italia si impegna con un contributo importante con 30 milioni di euro per i Paesi più vulnerabili» nell’ambito dell’Adaptation fund dell’Onu.
Con il Climate Ambition Summit si chiude così la fase «interlocutoria». Ora, come previsto proprio dagli Accordi di Parigi, occorre cominciare a fare sul serio. Purtroppo i cinque anni passati sono stati quasi sprecati. Salvo una accelerazione finale che lascia sperare: l’arrivo di Biden alla Casa Bianca, le decisioni europee e gli annunci di Pechino disegnano una leadership in grado di trainare il processo di trasformazione tecnologica necessario per diventare carbon neutral senza però far collassare l’economia mondiale. Se anche i tre grandi, Usa, Europa e Cina, decidessero di fare da soli il clima ne gioverebbe, visto che le loro emissioni sono il 50% del totale. Se poi si riuscissero a coinvolgere tutti i Paesi del G20 (80% della CO2 emessa) il traguardo di Parigi sarebbe davvero alla portata. Finito lo streaming, è a questo che bisogna lavorare.Original Article

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