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Carlo Carraro: “L’Italia deve fare di più contro la crisi climatica”

"L'Italia può e deve fare di più contro la crisi climatica". Carlo Carraro da quasi trent'anni è un protagonista, stimatissimo a livello internazionale, delle trattative sul riscaldamento globale: "Ero a Rio nel 1992 con la delegazione italiana", racconta, "e da allora allora ho partecipato a tutte le Conferenze delle parti (Cop, ndr) organizzate dalla Nazioni Unite". Dunque dal primo Summit della Terra in Brasile, che avrebbe portato al Protocollo di Kyoto, alla fallimentare Cop25 di Madrid del novembre 2019 che non è riuscita a rendere operativi gli Accordi di Parigi. Oggi Carraro, rettore emerito e professore di Economia Ambientale presso l'Università Ca' Foscari, oltre che vicepresidente di uno dei tre gruppi di lavoro dell'Intergovernmental panel on Climate chance dell'Onu, coglie l'occasione degli annunci europei e delle celebrazioni per i 5 anni di Parigi per sollecitare il governo italiano a impegnarsi di più.
Da dove dovrebbe iniziare, professore?
"Dal nostro Piano energia e clima: la versione attuale è vecchia, insufficiente e inefficace. Non è allineata ai nuovi obiettivi".
Quali sono le ragioni?
"In Italia si è spesso data la priorità all'industria e all'occupazione, rispetto ai temi ambientali".
Ma oggi ci viene spiegato, anche con il Green Deal voluto e finanziato da Bruxelles, che la lotta ai cambiamenti climatici può creare nuovi business e nuovi posti di lavoro. Funzionerà così anche da noi? O il nostro sistema produttivo farà fatica a riconvertirsi?
"Farà molta fatica, perché è vecchio, come del resto il Paese nel suo complesso. Finora le occasioni di innovazione non sono state colte, e non parlo solo di quelle energetiche legate al clima, ma anche di quelle digitali. D'altra pare, abbiamo un settore pubblico, che rappresenta il 50% del Pil, dove le innovazioni penetrano con difficoltà, una realtà industriale fatta di piccole e medie imprese che non hanno le dimensioni necessarie per investire in grandi trasformazioni, e grandi aziende pubbliche che non hanno operato nella direzione giusta".
Il premier inglese Boris Johnson ha appena annunciato che il Regno Unito non finanzierà più progetti legati ai combustibili fossili all'estero. Sarebbe praticabile da noi?
"In Italia non riusciamo neppure a eliminare del tutto il carbone. E continuiamo a dare sussidi ai combustibili fossili. Purtroppo il nostro Paese è più soggetto di altri alle pressioni industriali. E' giusto tener conto delle aziende, ma questa esigenza va bilanciata con l'urgenza della transizione energetica".
Si è appena celebrato l'anniversario degli Accordi di Parigi. Cinque anni passati inutilmente?
"Sono passati nel modo sbagliato. Dal punto di vista formale gli Accordi entrano in vigore da adesso, cinque anni dopo la sottoscrizione. Ma dal punto di vista sostanziale si sarebbe potuto fare molto di più dal 2015 a oggi. Le emissioni di CO2 erano diminuite fino al 2016, poi anno ripreso a crescere fino all'arrivo del Covid-19".
Però forse nel frattempo sono state create le condizioni perché gli Accordi potessero davvero essere attuati a partire dal 2020.
"Non mi pare. Il primo vero passo è l'annuncio dell'altro giorno da parte dell'Unione europea, con il taglio del 55% delle emissioni entro il 2030. E' importante, ma molto vago nella sostanza. Non si scende nel dettaglio delle misure necessarie per raggiungere quell'obiettivo, né come i tagli verranno ripartiti tra i vari Paesi".
E gli altri grandi protagonisti?
"L'elezione di Biden è un fatto positivo. E la Cina avrebbe potuto fare di più se non ci fosse stato il Covid. Ma i segnali migliori arrivano, paradossalmente, dalla finanza. Sia quella pubblica, per esempio i 1000 miliardi di euro messi sul tavolo dalla Ue, che quella privata: molti investitori hanno capito che le soluzioni cominciano a essere più convenienti".
Resta il Regno Unito post-Brexit, che sembra andare per la sua strada.
"Sì, e almeno per quanto riguarda il clima sembra che la Brexit abbia giovato: il governo di Londra può decidere senza dover tenere conto dei veti della Polonia o dell'Ungheria".
Tornando all'Italia, dobbiamo sperare che sia l'Europa a trascinarci verso la transizione energertica? O possiamo giocare un ruolo da protagonisti?
"Il nostro Paese ha una occasione importantissima nei prossimi mesi: sarà contemporaneamente coorganizzatrice della Cop26 di Glasgow e presidente di turno del G20. Soprattutto in questo ruolo potrebbe fare tantissimo, convincendo i membri del G20 a tagliare le loro emissioni di CO2, che oggi rappresentano tra l'80 e l'85% del totale. Non è necessario trovare un accordo con tutti i 190 Paesi Onu, basterebbe un sforzo serio del G20. Il governo italiano deve provare a ottenerlo. E la pubblica opinione dovrebbe spingere in quella direzione. Chiediamo conto all'esecutivo di azioni che hanno conseguenze assai meno gravi sulla nostra vita, perché non lo facciamo con la stessa forza anche per il clima?".Original Article

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