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N’Kono: “Quell’Italia, e Rossi, erano i messaggeri del coraggio”

Il 23 giugno del 1982, a Vigo, l'Italia di Enzo Bearzot – che anche quel giorno puntò su Paolo Rossi, contro tutto e tutti – disputò la prima delle cinque finali giocate al Mundial di Spagna. Di fronte, il Camerun di Jean Vincent, mito del calcio francese (ex compagno di squadra di Just Fontaine e Raymond Kopa) e artefice della prima qualificazione a un mondiale della nazionale dei 'Leoni indomabili'. I leader in campo di quella squadra erano, invece, il trentenne centravanti Roger Milla, eroe delle notti magiche, e il primo portiere a conquistare, nel 1979, il Pallone d'Oro africano: capitan Thomas 'Tommy' N'Kono, l'idolo di Gigi Buffon. Un premio che l'istrionico estremo difensore africano, famoso per giocare sempre con i pantaloni lunghi ("da piccolo mia madre mi obbligava a metterli perché i campetti dove giocavamo erano di terra e tornavo a casa sempre pieno di ferite") e per le sue acrobatiche uscite a una mano, vinse di nuovo proprio quell'anno.
Eppure il suo scivolone sul gol di Ciccio Graziani destò qualche sospetto.
"Solo chi non ha mai giocato a calcio può pensare che quel movimento non sia naturale".
Allora non si studiavano i rivali in tv. Cosa le avevano detto del centravanti dell'Italia, un certo Paolo Rossi.

"Lo conoscevamo solo di nome, nulla più. Ci dissero che era taciturno e molto opportunista. E, secondo me, fu proprio il suo opportunismo a permettergli di vincere il premio di capocannoniere del torneo".
Quella partita entrò nella storia della nazionale italiana, ma anche di quella del suo paese, grazie all'altrettanto strano gol di Grégoire M'Bida, il primo del Camerun in un mondiale. Si accorse di qualcosa di strano prima o durante quella partita?
"Assolutamente no. Fu una gara molto dura. Avevamo bisogno di una vittoria ed era proprio questa la nostra intenzione. Quando uno sportivo scende in campo lo fa sempre pensando di dare tutto quello che ha per poter vincere e non per accontentarsi di un pari. Anche perché così com'è vero che di fronte avevamo l'Italia è altrettanto vero che la nostra era una squadra di vincenti. Chi pensa che prima di scendere in campo avremmo messo la firma sul pareggio, si sbaglia di grosso".
Avrebbe mai pensato che quell'Italia avrebbe potuto vincere il mondiale?
"No. Se devo essere sincero fino in fondo, non lo avrei mai immaginato. Tutto, però, cambiò dopo la partita contro il Brasile".
E già, quel centravanti taciturno che, a Balaídos servì l'assist a Graziani, cominciò a far rumore. A modo suo, dodici giorni più tardi, a Sarrià.
"Eravamo già tornati a casa e guardai la partita in tv. Ho sempre pensato che si è trattato di un chiaro esempio di dove puoi arrivare se sei coraggioso e sia quell'Italia che Rossi lo erano. Ed è proprio questo il bello del calcio, uno sport che vive di episodi del genere. Tutto dipende dal grado di fiducia che riesci ad acquisire. Ed è proprio quello che è successo a Sarrià a Rossi. Perché la fiducia ti fa recuperare parametri che pensi di aver perso, ma che lui evidentemente aveva. Doveva solo ritrorvarli".
Che atmosfera quella di Sarrià! Lo stadio giusto al momento giusto. È stata la sua casa per nove anni (dall'82 al '91), quelli passati a difendere la porta l'Espanyol.
"Si respirava fútbol. Anzi, potevi proprio toccarlo, palparlo. Era un campo all'inglese. Tutti vicini, tutti raccolti. Gli spettatori potevano parlare con i calciatori e far arrivare i propri messaggi, il proprio supporto. Sarrià era questo, uno stadio che ti faceva volare. Un campo davvero difficile da dimenticare".
Quando va via un calciatore con cui ha giocato, sia compagno di squadra o avversario, che reazione emotiva le genera?
"Quando succede a una persona così giovane è sempre una disgrazia. La perdita è immensa, perché quando sei giovane immagini di arrivare a quest'età nel pieno della vita e con l'obiettivo di godersi ogni momento. Le leggi della vita, però, non siamo noi a scriverle".
Pochi giorni fa è scomparso anche quello che, probabilmente, è stato il calciatore più forte contro cui abbia mai giocato. Partita inaugurale di Italia '90, dall'azzurra di Paolo Rossi all'albiceleste di Diego Armando Maradona.

"Diego era senza dubbio il migliore della nostra generazione. Nessuno era in grado di fare la differenza come lui. Poi ogni epoca ha il suo crack, è una questione di gusti, ma a me piacciono i fuoriclasse in grado di trascinare la propria squadra, di spingerla oltre i propri limiti e, secondo me, Maradona oltre ad avere un enorme talento calcistico aveva anche quello di leader".

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