Torniamo ai sogni e a Murnau. Al 1921, quando dirige Il castello di Vogelod. Pellicola espressionista e muta, tra le poche sopravvissute degli esordi del genio tedesco, che oggi possiamo vedere su Mubi, l’impagabile sito del cinema d’autore. Due anni prima Freud aveva scritto il saggio sul “perturbante” (Das Unheimliche), cioè la presenza in un oggetto di qualcosa di sinistro e al tempo stesso familiare. Nell’ospitale e, appunto, perturbante dimora dei von Vogelschrey si raduna un gruppo di amici per partecipare a una partita di caccia che sarà funestata dal maltempo. Il piacevole soggiorno si trasforma in incubo per l’inatteso arrivo del conte Oetsch su cui pende il sospetto di avere ucciso il fratello. Altre presenze inquietanti si aggiungono alla comitiva: la baronessa Safferstätt, vedova dell’assassinato; il suo nuovo catatonico marito; padre Faramund, consigliere spirituale del defunto.
Mentre i nodi, anziché sciogliersi, si stringono attorno al mistero della trama, Murnau trova il modo di introdurci alla vita onirica di due personaggi secondari. Uno è il piccolo sguattero di cucina che sogna di impossessarsi della panna che il brutale cuoco, con un ceffone, gli aveva interdetto. Salutare liberazione di ogni pulsione infantile! (nel sogno, addirittura, il bambino restituisce il ceffone, e con gli interessi). L’altro è un ospite che sogna una mano mostruosa, prefigurazione di Nosferatu, che spunta dalla finestra per afferrarlo. Immagine terrifica che, nella sua fittizia semplicità, visita il dormiveglia di tutti noi bambini. È la mano cattiva della morte, la morte a portata di mano, quella che da sempre proviamo a sconfiggere con la mano materna che cerchiamo nel sonno, quando, da soli o con qualcuno vicino, allunghiamo il braccio per sapere se c’è, se c’è stata, se ci sarà. Per assicurarci che il mostro non la porterà via.
Sul Venerdì dell'11 dicembre 2020
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