“Mi ero appena svegliato, ho acceso la tv e ho visto il tg. E mi è mancato il fiato”. La notizia della morte di Paolo Rossi l’ha appresa così Dino Zoff. Di quell’Italia del 1982 era il capitano, le sue mani sulla coppa sono uno dei due simboli di quel trionfo, insieme ai gol di Pablito.
Zoff, vi eravate sentiti negli ultimi giorni?
“E’ un colpo notevole, e alla mia età fa ogni volta più male. L’ultima volta ci eravamo visti lo scorso anno: lui era a Roma per uno dei suoi impegni in tv e mi aveva chiamato ed eravamo andati a cena al Circolo Aniene, io, lui e Tardelli. Una serata bellissima, come una volta: ci eravamo presi in giro, avevamo scherzato sui comportamenti, sai loro sembravano ragazzini, con questi telefonini, le attrezzature elettroniche a cui io non riesco a stare dietro. Ma avevamo un feeling particolare, come ha solo chi ha vissuto qualcosa di irripetibile”.
Lei e Pablito siete stati forse i due simboli del Mundial del 1982, ne parlavate?
“Non solo siamo stati i due simboli, ma quelli con più pressione addosso. Entrambi ci sentivamo responsabili delle critiche che venivano rivolte al ct Bearzot per averci convocato: io per l’età, Paolo perché veniva da un anno in cui non aveva giocato”.
E Rossi ne soffriva?
“Certamente la sentiva tanto. Avvertiva forte questa pressione, ma è meglio dire responsabilità di dimostrare che la scelta di puntare su di lui fosse giusta. Anche perché entrambi eravamo fortemente legati al Vecio: con lui non c’era blocco Juve o altro, c’era la Nazionale, una squadra. Era un uomo che sapeva tenere il gruppo, puntando su una cosa, sempre: l’educazione”.
E con lei ne parlava, si confidava?
“No, ma era una sensazione che aleggiava, poi col silenzio stampa che appesantiva ancora il clima. C’era un’aria tesa, che poi proprio Paolo trasformò in una festa con i tre gol al Brasile che fecero esplodere l’entusiasmo: quello della gente in Italia, certo. Ma anche il nostro eh”.
In più eravate legati anche dalla maglia della Juventus.
“A volte ancora mi chiamava capitano, ma mica per rispetto, per prendermi in giro. Appena capitava a Roma, per delle promozioni o per commentare una partita, cercavamo di organizzare per vederci: erano momenti belli, intensi, profondi. Avevamo un bel rapporto, e poi Paolo era davvero una persona straordinaria: un generoso, e poi simpatico, fresco. Forse non lo sa, ma c’è una cosa che non gli mancava: l’ironia. Paolo era davvero divertente”.
Quando vi siete visti l’ultima volta non stava ancora male?
“Era qualche tempo che non ci sentivamo, non ero del tutto al corrente della sua malattia, non sapevo che le condizioni fossero peggiorate così tanto. È stato un colpo inaspettato, dolorosissimo: credo non volesse farlo sapere per discrezione, per proteggere la sua intimità. E della sua famiglia”.
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