Quanto è successo negli ultimi dodici mesi sul pianeta Terra è certamente scioccante, analizzandolo dal punto di vista del climate change. Il dato più grave è che gli ultimi diciannove anni del XXI secolo sono stati i più caldi da quando si misurano le temperature globali del nostro globo terracqueo. E gli ultimi sei anni hanno avuto il record assoluto. Il 2020, secondo i calcoli fatti da CarbonBrief.org si appresta a diventare il sesto anno con una temperatura globale più alta degli ultimi 140 anni.
Ma c'è di più: il calore extra trattenuto dalla Terra si sta facendo strada attraverso gli ecosistemi in tutto il mondo, stabilendo dei record quasi ovunque. L'Artico ha registrato quest'anno la seconda più piccola estensione di superficie ghiacciata da quando questa viene misurata. Contemporaneamente, nei mesi di agosto, settembre e ottobre, la California ha vissuto i più grandi incendi della sua storia. In generale, il numero di giorni in cui nel mondo si sono verificati incendi di vaste proporzioni è raddoppiato dall'inizio degli anni '80.
Nello stesso tempo, le aree tropicali hanno registrato, nella stagione degli uragani, ben 30 tempeste senza precedenti. Di queste, dodici hanno raggiunto gli Stati Uniti, un numero mai registrato in passato. Ma c'è di più: l'analisi storica dei dati ha stabilito che gli uragani, contrariamente a quanto avveniva in passato, non subiscono rallentamenti quando raggiungono la terraferma. Un solo esempio: il tifone Goni ha colpito le Filippine, a fine ottobre, con venti di oltre 315 km/h. I meteorologi lo considerano il ciclone più forte che abbia mai colpito la terraferma.
Va sottolineato, comunque, che gli esperti climatologi non ritengono che il cambiamento climatico sia la diretta causa degli uragani, ma che le temperature marine più calde e l'aria più umida forniscono loro quello che viene definito "il carburante aggiuntivo". A questo si aggiunge il fatto che gli oceani stanno subendo un processo di trasformazione chimica, l'acidificazione, che può portare a minacciare e distruggere importanti ecosistemi, al pari del riscaldamento globale.
Tutto questo sta portando ad un terzo elemento che influisce sul clima e sulla diffusione, ad esempio, di nuove malattie: è la perdita di biodiversità, considerata uno dei fattori più importanti, ad esempio, per il passaggio di virus dal mondo animale a quello umano. Le specie animali, dal 1970, sono diminuite, sia per quantità che per estinzione, del 68%. La valutazione degli esperti è che "le cause delle pandemie sono da ricercare sia nei cambiamenti climatici globali, sia nella continua depauperazione delle biodiversità".
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di
Claudio Gerino
Il ruolo dell'uomo nella distruzione dell'ambiente e delle biodiversità, quindi, assume un ruolo fondamentale. Secondo il rapporto elaborato dal team che fa capo all'ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Henry Paulson, in collaborazione con due gruppi di ricerca, ha sottolineato che la carenza di iniziative e finanziamenti globali per la protezione delle biodiversità, sta producendo il rischio di catastrofi irreversibili. Il rapporto spiega con una serie di elementi che dovrebbero essere avviate subito almeno nove specifiche politiche finanziarie per colmare questa carenza; ma sottolinea anche che non bisogna agire "a pioggia", cercando di salvare tutto, con interventi non mirati. Secondo lo studio di Henry Paulson e che abbraccia l'intero pianeta, bisogna concentrarsi sugli ecosistemi più produttivi per preservare la biodiversità: questa metodologia renderebbe gli sforzi di ripristino fino a 13 volte più convenienti economicamente e utili.
Ma la situazione mondiale per il climate change è così drammatica e soprattutto senza possibilità di ritorno? Gli esperti dicono di no, anche se sottolineano come ci sia poco tempo ancora a disposizione prima di arrivare ad un punto di non ritorno. Ad esempio, si sta verificando un fenomeno alquanto insolito, secondo uno studio condotto da dieci gruppi di ricerca formati da 34 scienziati che hanno trascorso due mesi sul Monte Everest. Intanto, questa ricerca ha permesso di stabilire quanto l'inquinamento atmosferico è responsabile del ritiro dei ghiacciai e quanto la plastica può raggiungere anche territori considerati finora "intoccabili". Lo studio ha rilevato una presenza di ossigeno maggiore sulla vetta dell'Everest e questo – hanno dimostrato – è nettamente imputabile al riscaldamento globale.
Ricercatori del Mit, invece, hanno studiato il comportamento dei cammelli, nel deserto africano. Questo studio ha portato alla realizzazione di nuove tipologie di vestiti, utilizzando dei gel mutuati sinteticamente dalla pelliccia dei cammelli, che non solo aiutano a trattenere i liquidi in presenza di forte irraggiamento solare, ma che possono preservare per oltre una settimana cibo e medicine a temperature più basse (almeno 7 gradi) di quelle esterne.
Sul fronte energetico, poi, i progressi sono molteplici e sulle pagine di "Green&Blue" ne abbiamo già parlato. Un tema ancora però poco esplorato è il riciclaggio dei componenti più inquinanti delle batterie agli ioni di litio. Gli ingegneri dell'Università di San Diego, in California, hanno elaborato un metodo per riciclare questi componenti utilizzando il 90 % in meno di energia e abbattendo del 75% i gas serra che sarebbero stati emessi con i sistemi tradizionali.
Ma al di là di questi esempi, che hanno anche una forte componente di curiosità, quello che emerge dagli studi di tutti i climatologi e gli scienziati è che occorre una vera e propria "diplomazia climatica" mondiale, cioè un approccio unitario e condiviso per rallentare il riscaldamento globale. Diplomazia perché le nazioni implicate più a fondo nell'emissione di gas serra non si fidano delle altre nazioni e quindi non agiscono per paura di essere imbrogliate. Gli esperti, quindi, confidano soprattutto sul principio di "azione collettiva" che parta anche dal basso e che metta di fronte le nazioni al problema di trovare soluzioni di contrasto verso il climate change su basi realistiche e fattibili nel breve, medio e lungo termine.
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