Statistica numero uno: a Roma, ogni giorno, duecento quintali di pane e panini finiscono nella spazzatura. Statistica numero due: la Caritas romana, per rifornire le sue tre mense dei poveri, ogni anno, spende circa 90 mila euro in prodotti che arrivano dall’industria della panificazione. In questi dati si raccoglie la sintesi di uno degli sprechi più scandalosi che non riusciamo contrastare in modo efficace, nonostante l’enorme utilità del pane e le tante possibilità che ci sono per riutilizzarlo.
Nelle nostre case la quantità di pane che finisce nel secchio dell’immondizia è ancora molto alta (vale il 18% di quello acquistato), ma quasi la metà degli italiani ha ormai preso l’abitudine di mangiare anche il pane del giorno prima e semmai lo congela. Stiamo migliorando. Il vero corto circuito, però, avviene nelle rete commerciale, e in particolare nei punti vendita della grande distribuzione, dove ogni giorno si sprecano 13 mila quintali di pane.
Abbiamo una legge approvata per favorire il recupero del cibo altrimenti destinato a diventare rifiuto. Disponiamo di una straordinaria rete di associazioni che, come la Caritas romana, hanno un bisogno quotidiano di pane e derivati. E si contano oltre 41 mila panificatori, in gran parte ben disposti alle donazioni. Che cosa, allora, non funziona? "La fatica per fare un gesto di generosità è superiore al risultato e quindi dobbiamo donare il pane, nonostante la legge, in modo semi-clandestino…" racconta Graziano Bottura, presidente dei 130 panificatori di Bologna. E aggiunge: "Bolle, fatture, documentazione di carico e scarico della merce. Ci chiedono troppe cose. Così, come capita a me, se hai le suorine che la sera vengono a ritirare il pane avanzato, lo regali con piacere, ma altrimenti ti arrendi".
E dietro la resa della quale parla Bottura appare il fantasma della solita e cronica incapacità italiana di fare un minimo di sistema, di collaborare per un obiettivo, in questo caso la riduzione di uno spreco scandaloso e l’aiuto concreto contro la povertà. Panificatori e supermercati sono da anni alle prese con una guerra a colpi di carte bollate. In sintesi: i produttori accusano i distributori di acquistare i prodotti a prezzi troppo bassi e solo in "conto vendita", costringendo i panificatori a farsi carico anche del recupero del pane invenduto. Troppo.
L’Antitrust ha considerato questo meccanismo come «vessatorio» per i produttori di pane, multando le più importanti catene di supermercati con una sanzione di 680 mila euro. Ma gli effetti di questa guerra ai fini della riduzione degli sprechi del pane e di una spinta a favore delle associazioni che si occupano di assistenza ai poveri sono stati del tutto controproducenti. I panificatori hanno deciso, in larghissima maggioranza, di rinunciare alle forniture di pane ai supermercati: a Bologna, per esempio, soltanto il 10% degli iscritti all’associazione di categoria ha come cliente qualche punto vendita della grande distribuzione. E le percentuali sono analoghe a Milano e Roma. Quanto allo spreco, il pane avanzato resta senza un destinatario, con alcune eccezioni come il recupero periodico che riesce a fare il Banco Alimentare grazie a una struttura organizzativa di volontari presenti su tutto il territorio.
La stessa ruggine che blocca il circuito recupero-donazione-distribuzione ai poveri si sconta nei tentativi di riutilizzo del pane, che pure ha qualità straordinarie in questo senso. Il pane avanzato è molto richiesto nel settore della zootecnia, per realizzare compost e fertilizzanti. Ma qui servono le dimensioni: un’azienda zootecnica non può certo rincorrere i prodotti di un piccolo panificio di campagna. E in assenza di una rete, l’unica luca arriva dal basso, da piccole iniziative che hanno però la loro grandezza in termini risultati.
A Potenza, per esempio, l’associazione di volontariato Io potentino con il pane avanzato produce birra con il marchio 166 (il numero della legge italiana antisprechi): da quindici chili si ricavano 65 bottiglie da 33 cl. Il ricavato delle vendite finanzia il progetto Magazzini solidali, che consente alle famiglie povere della zona di fare gratuitamente la spesa. E fa riflettere su quante cose si potrebbero realizzare riuscendo a ridimensionare lo scandalo del pane sprecato.
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