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La Roma (dei ristoranti) che resiste: Zia, il coraggio di non montarsi la testa

Continua il giro d'orizzonte, per vedere come i ristoranti di Roma stanno resistendo alle grandi difficoltà causate al settore dell'enogastronomia dalle misure anti-Covid. Dopo il Per me di Giulio Terrinoni e Checchino dal 1887 di Elio e Francesco Mariani, è la volta di Zia di Antonio Ziantoni, ristorante fresco di Stella Michelin.

Dici Trastevere e dici trattorie (o trappole) per turisti: da quando nel secolo scorso questo popolarissimo quartiere romano fu scoperto dai forestieri e assalito dalla speculazione, avventurarsi nei suoi vicoli a caccia di una buona tavola si è rivelata un’avventura deludente. Troppo spesso! Intendiamoci, anche da queste parti la ricerca di una gastronomia moderna e pulita si è manifestata qua e là, ma generalmente in forma modesta rispetto ai buchi, ai buchetti etnici e ai tavolacci capaci di attirare ogni anno, soprattutto col bel tempo, migliaia e migliaia di viandanti più o meno sprovveduti o semplicemente galvanizzati dall’idea di passeggiare sugli scivolosi sanpietrini del rione.

La Stella di Zia e la freschezza di una cucina che non si monta la testa

Stavolta cammina con me. Se vieni dal Centro, attraversa il fiume da Ponte Sisto, passa per la raccolta Piazza de’ Renzi, dì una preghiera per la nostra salvezza nell’aria incantata della Basilica di Santa Maria in Trastevere (vale anche per atei e anti-clericali come me), e arràmpicati verso il Gianicolo: non è annoverato tra i Sette Colli sui quali sorse l’Urbe, ma con i suoi 88 metri d’altezza ospita vestigia importanti della storia antica (San Pietro in Montorio col Tempietto del Bramante; ‘er Fontanone’) e ottocentesca (la statua equestre dedicata ad Anita Garibaldi e l’Ossario dedicato agli eroi delle Guerre di Indipendenza). Mentre sali per via Mameli, se guardi a destra ecco la meta dove attrovagliarti: Zia, luci basse e insegne discrete, discrete come il tono gentile con il quale verrai accolto da Marco Pagliaroli, navigato maître e sommelier. Grande attenzione al distanziamento tra i coperti, anche se per la verità già prima della pandemia gli spazi erano ampi e ariosi. Riluce di vernice fresca l’insegna splendente della Stella Michelin, e se non fosse per la lunga lista d’attesa che scopri al momento di prenotare, non penseresti che qui abbiano appena conquistato l’ambìto riconoscimento da parte della Guida Rossa. “Noi siamo sempre gli stessi”, recitano all’unisono Antonio Ziantoni e Ida Proietti, sorridente padrona di casa. E lo chef, che da ragazzo cresciuto sprizza gioia da ogni poro, mostrandomi il menu assicura: “Guarda, il successo non ci dà alla testa e non abbiamo alzato i prezzi di un centesimo”.

Antonio Ziantoni e Ida Proietti

Colpisce in effetti che abbiano mantenuto i due Degustazione a 75 e 55 euro, così come le quotazioni della carta dei vini restano uguali. E colpisce vedere l’entusiasmo che cresce sottopelle in questa giovane coppia e si trasforma in energia, diffondendosi nelle due sale tanto semplici quanto eleganti. Energia che consente ad Antonio di distillare gli anni di esperienza accumulati – dopo gli studi all’Alma – alla corte di Anthony Genovese al Pagliaccio, maestro di alcuni dei migliori dell’ultima generazione italiana, e dei mitici Gordon Ramsay a Londra e Georges Blanc a Vonnas. Radici laziali, tre – al massimo quattro – ingredienti per animare piatti dai quali emerge la costante attenzione alle temperature, ai fondi e alle salse, la forza della formazione classica, non solo negli antipasti – di gran divertimento il capitone in gratella con cipolla e dragoncello e l’animella con tre latti caramellata – ma soprattutto nei primi e nei secondi: cito il nuovo anolino di ossobuco in brodo di manzo e i goduriosi cappellacci con maiale, melograno, Parmigiano e bitter (“la pancia di maiale viene da vicino al mio paese, Vicovaro”).

Profumatissima la spigola alla mugnaia, chiamata a duellare alla pari con capperi e liquirizia, e immancabile il piccione, stavolta presentato in civet e come piatto dell’inverno, aromi intensi per distrarci e combattere il freddo. Anche se il mio tonico prediletto resta un delicatissimo Scotch: Hazelburn 10, felicemente non torbato… Con simile carburante, in una manciata di minuti brucio la passeggiata fino al Tempietto del Bramante.Original Article

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