Cosa succederà al governo Conte? Renzi lo farà cadere? E, nel caso, si andrà a votare o nascerà un nuovo governo? Presieduto da chi? Proviamo a immaginare gli scenari possibili e quelli irrealistici.
1. Renzi è davvero pronto a far cadere Conte? Sì, l’ex premier ha messo in conto che la sua contestazione possa arrivare a questo punto. Il che, però, non significa aver già deciso che debba succedere. Renzi ha bisogno di un riconoscimento politico che rilanci lui e il suo partito in crisi di sondaggi. Potrebbe essere lo stop alla cabina di regia per la gestione del Recovery Plan italiano. Potrebbe essere un rimpasto che porti al governo nuovi e più solidi ministri, magari lo stesso Renzi. Ma certo il leader di Italia viva non si accontenterà di qualche piccola concessione. Sa che gli argomenti portati contro Palazzo Chigi – la tendenza di Conte a creare un suo potere parallelo, senza sciogliere i nodi politici della maggioranza che lo sostiene – hanno una loro fondatezza e sa che sono condivisi anche da buona parte del Pd. Sa anche che Conte non ha più la copertura del M5S, perché i rapporti tra Conte e Di Maio sono da tempo logori. Soprattutto, è convinto che in caso di caduta di Conte non si andrà alle elezioni, cosa che rafforza il suo potere contrattuale (in caso contrario sarebbe per prima la sua pattuglia di parlamentari a non seguirlo, dato che la quasi totalità dei deputati senatori di Italia avrebbe la ragionevole certezza di non rientrare in Parlamento).
2. Renzi vuole sostituire Conte con un altro premier? Non gli dispiacerebbe. Un governo alla Draghi troverebbe senz’altro il suo sostegno, così come è pronto a offrire la premiership al Pd: a Zingaretti o Franceschini, per esempio.
3. Il Pd può accettare di sostituire Conte con un proprio esponente? Altamente improbabile. Per non dire impossibile. Agli occhi dell’opinione pubblica, alla quale questo governo giallorosso è stato venduto come laboratorio politico di una nuova alleanza con il M5S, la sostituzione di Conte con un Pd passerebbe per la sconfessione dei propositi dichiarati. Per giunta sulla spinta di Renzi, che sarebbe ancora una volta il king maker dell’operazione. Tornerebbe l’eco delle vecchie ferite, la caduta del primo e del secondo Prodi, le accuse di ribaltoni e intrighi, lo stesso Conte a quel punto si trasformerebbe in un avversario politico ed elettorale. A questo si aggiunga che questa mossa avrebbe, al limite, un senso se fosse Zingaretti a prendere la guida. Ma tutta la sua storia dice che non accetterebbe una mossa così azzardata. Inoltre, è tuttora presidente della Regione Lazio, dovrebbe dimettersi in anticipo dall’incarico. Una mossa che fin qui ha escluso categoricamente più volte.
4. Ma cosa vuole allora il Pd? Ha mandato avanti Renzi per far cadere Conte? No, però prima lo stesso Zingaretti, poi il vicesegretario Orlando e il gran consigliere Goffredo Bettini, hanno espresso pubblicamente il loro scontento per il metodo Conte: troppe decisioni poco condivise, troppa attenzione agli slogan e poca alla costruzione di un’agenda solida e sottoscritta dai partiti della maggioranza. Conte è passato in pochi mesi da “punto di riferimento dei progressisti” (lo disse Zingaretti) a più modesto “punto di equilibrio attuale” (lo ha detto oggi Orlando a Repubblica). Il Pd vuole che il premier smetta di giocare per sé e si assuma il ruolo di leader capace di farsi carico delle scelte e delle mediazioni necessarie. Il problema è che fin qui Conte ha sempre fatto il contrario: si è fatto forte delle divisioni politiche tra le forze che lo sostengono per rafforzare il suo consenso personale. Però è chiaro che la linea del Pd rischia di apparire molto ambigua. Se l’offensiva di Renzi porterà al crac e alla caduta di Conte, il Pd rischia di apparire complice dell’operazione. D’altra parte, la difesa a oltranza di Conte senza ottenere una svolta nell’azione di governo – gravato da troppi ministri incapaci – sarà pagata soprattutto dai dem.
5. Ma davvero si può tornare al voto se Conte cade? Non si può escludere in assoluto, ma non ci crede nessuno. Siamo in piena pandemia, in ritardo nella definizione di un piano che vale più di 200 miliardi, somma che mai più vedremo, non c’è una legge elettorale degna di questo nome, l’attuale è il moncherino della precedente dopo il taglio dei parlamentari. In queste condizioni immaginare un Paese acefalo, squassato da due mesi di campagna elettorale (e senza la certezza che le elezioni esprimano una maggioranza solida) è quasi fantapolitica. In più, il Parlamento è zeppo di forze che vedono le urne anticipate come la morte nera. Il M5S riuscirebbe realisticamente a eleggere non più di un quinto degli attuali parlamentari, tra calo dei consensi e riduzione del numero dei seggi a disposizione. Forza Italia si consegnerebbe al dominio di Lega e Fratelli d’Italia. Insomma, in Parlamento ci sarebbe ampia disponibilità a ragionare su un nuovo esecutivo.
6. Ma quindi come andrà a finire? Lo scenario più probabile, nonostante il disordine attuale, è che Conte resti a Palazzo Chigi. Magari con una squadra nuova, un Conte ter. Oppure che vada avanti con qualche ritocco senza passare dal Quirinale (ma occorrerebbe convincere i ministri nel mirino a dimettersi, mica facile). Non va sottovalutato anche il fatto che, nonostante il gelo con Di Maio, il M5S avrebbe enormi difficoltà a spiegare il cambio di un premier che, bene o male, è stato espresso dal grillismo con uno vicino al Pd o, peggio. Immaginate la reazione di un Di Battista o delle gazzette di governo. Certo, per andare avanti, Conte dovrà riconoscere qualcosa a Renzi, perché la sua iniziativa è andata troppo oltre perché possa essere assorbita con qualche formalità.
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