NANCHINO – Si allunga e si appesantisce la lista di procedimenti giudiziari contro Jimmy Lai, il tycoon 73enne di Hong Kong tra i principali esponenti del campo pro democrazia. Dopo l’imputazione per frode, per la quale Lai da una settimana è in custodia in carcere in attesa del processo, ora l’editore del quotidiano Apple Daily è formalmente accusato anche di collusione con un Paese o con soggetti stranieri. Si tratta di uno dei reati contro la patria previsti nella nuova draconiana legge sulla sicurezza nazionale introdotta a Hong Kong lo scorso giugno dal governo centrale, con pene previste che vanno da tre anni fino all’ergastolo. Questo procedimento, insieme alla condanna per dissacrazione della bandiera cinese arrivata oggi per un attivista 18enne, è l’ulteriore capitolo di una campagna giudiziaria con cui il governo locale, su mandato di Pechino, sta cercando di decapitare e silenziare il fronte democratico.
Jimmy Lai era stato fermato per la sospetta violazione della legge sulla sicurezza nazionale lo scorso agosto. L’accusa sarebbe legata ad alcune interviste rilasciate a media internazionali in cui il tycoon ha invocato delle sanzioni contro Pechino, fattispecie esplicitamente vietata dall’articolo 29 della norma. Ad agosto centinaia di poliziotti avevano anche perquisito la sede di Apple Daily, il tabloid edito da Lai megafono delle proteste contro il governo, ma il tycoon era stato comunque rilasciato su cauzione. Il rilascio gli è invece stato negato la scorsa settimana per il reato di frode, molto meno grave, una decisione inusuale che il tribunale ha motivato con il pericolo di fuga. Ora Lai attenderà in carcere l’evoluzione parallela dei due procedimenti.
Oggi un tribunale di Hong Kong ha anche condannato l’attivista 18enne Tony Chung per dissacrazione della bandiera nazionale cinese e partecipazione ad un’assemblea illegale. Chung era uno dei leader del movimento studentesco pro indipendenza Studentlocalism, sciolto prima dell’entrata in vigore della nuova legge. I fatti si riferiscono a una manifestazione tenutasi a maggio dello scorso anno davanti al Parlamento della città, prima che le proteste per la democrazia diventassero di massa. Chung aveva strappato la bandiera a un manifestane filo Pechino, spezzandone l’asta, gesto per cui rischia tre anni di reclusione. La sentenza verrà annunciata più avanti, ma il ragazzo è già in carcere da ottobre con l’accusa di incitamento alla secessione, un’altra fattispecie prevista dalla norma sulla sicurezza nazionale. L’attivista era stato fermato davanti al consolato americano, dove si apprestava a chiedere asilo. Ora aspetta il processo, anche in questo caso la pena massima è l’ergastolo.
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