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Ciccio Sultano: “La mia Sicilia ha il sapore dell’onestà: lo dobbiamo all’ambiente”

Da 20 anni con il suo ristorante "Duomo" di Ragusa Ibla, due stelle Michelin e cinque cappelli per la guida dell’Espresso, Ciccio Sultano lavora con il territorio e per il territorio, puntando sulla filiera locale e sulle persone. "Si parla molto di sostenibilità – dice lo chef siciliano – ma non può esistere rispetto per l’ambiente se non si attua prima il rispetto per gli uomini e per il loro lavoro". La qualità dei prodotti, come il benessere degli animali e la considerazione per i produttori, meritano la stessa attenzione.

AVANZI DA CHEF

La ricetta di Ciccio Sultano: cipolla al formaggio ragusano

a cura di

Eleonora Cozzella


L’ecosostenibilità è un punto fermo nel lavoro di Ciccio Sultano. Lo si capisce soprattutto da come sceglie i suoi fornitori: da quando ha aperto il suo "Duomo" a Ragusa Ibla ha deciso di lavorare esclusivamente con aziende locali, che utilizzano metodi a zero impatto ambientale.

Perché le materie prime non solo devono dare il massimo in termini di sapore, ma anche essere sostegno alla biodiversità dell’Isola, con lo sguardo privilegiato al sostentamento dei produttori artigianali. Un esempio su tutti, il tonno, per cui si rivolge a Testa conserve, una famiglia di pescatori del mare di Ognina, in provincia di Catania, che vanta metodi tradizionali di pesca fin dal 1800.

"È importante circondarsi di fornitori fidati perché siamo sicuri di una pesca sostenibile, che non eccede le quote prefissate, che non depreda i mari, anche se è difficile, perché poi devono subire la concorrenza sleale di chi pesca di frodo e fa sfregio al nostro Mediterraneo. Pesca sicura, mare protetto, sono belle parole. Ma per me è vitale: non riesco a guardare negli occhi il cliente se non porto nel piatto cose oneste".

Ma non solo tonno. Perché è necessario valorizzare tutti i pesci, dalla boga al sugarello alle sarde "che rischiano di non trovare posto in pescheria perché i pescatori ci guadagnano troppo poco. Chi lavora onestamente deve essere retribuito il giusto. Tutti dovrebbero ricavarne un beneficio uguale".

Altrettanto fondamentale il legame con la terra. Con i contadini che hanno le loro radici nelle campagne circostanti, se non proprio nella cittadina di Ragusa: piccole imprese a conduzione familiare che rispettano la natura e mettono cuore in quello che fanno, per portare a tavola e sapori migliori, lavorati a regola d’arte o conservati come natura li crea.

"Investiamo molto per valorizzare il fattore umano: non sembri una banalità. Gli ortolani di fiducia, Raul e Jessica che coltivano la terra rispettando stagioni e cicli biologici, piantano semi antichi, fanno agricoltura integrata, rinunciando categoricamente l’uso di pesticidi, sono esempi di agricoltura bioetica. E poi c’è Giuseppe Grasso le cui 400 mucche pascolano in 500 ettari di collina, per formaggi genuini e carni di cui sperimenta frollature particolari. O ancora, gli allevatori che si preoccupano della felicità delle galline sono risorse imprescindibili" spiega.

Non a caso c’è lui dietro il progetto di Aia Gaia, una fattoria – alle porte della città barocca – che, come dice il nome, è uno spazio gioioso, dove in collaborazione con i due agronomi Paolo Montisanti e Carmelo Cilia sono allevati 900 polli e galline ovaiole: all’aperto, razzolano in due ettari e mezzo di fondo, per cibo hanno quanto trovano nel terreno, integrato da mangimi selezionati e certificati. “La regolare rotazione degli spazi, seminati a trifoglio, leguminose e graminacee – spiega – permette delle migliori condizioni di vita e si riflette sull’estrema qualità dei prodotti”. Ma è anche un progetto sociale, in cui si sono tuffati ragazzi in crisi che hanno trovato uno sbocco professionale. Sultano ora è loro socio “per aumentare performance, alimentare un circuito virtuoso, perpetuare pratiche di una volta”.

Insomma, sempre alla ricerca del gesto tradizionale, dentro la modernità che la conoscenza consente. E su tutto il vessillo della sicilianità, perché Ciccio, si perdoni il gioco di parole, è davvero il Sultano della gastronomia di quel continente che è la Sicilia. E il suo “Duomo” è una tavola dove viene servita la storia millenaria della cucina siciliana, le sue stratificazioni frutto del susseguirsi di dominazioni – spagnoli, arabi, normanni – e il ruolo baricentrico nelle comunicazioni di un’isola chiave del Mediterraneo, trovano insieme la strada della contemporaneità. Facendo dialogare preparazioni antiche con la leggerezza richiesta da palati odierni, la qualità delle produzioni artigianali selezionate con la ricerca filologica di un sapere.

Che passa dalle mani. Per questo prepara lui stesso la bottarga nel suo laboratorio o la toma: "dobbiamo difendere non solo i prodotti tradizionali ma anche il gesto che ci sta dietro. C'è competenza-storia-magia nel portare il latte, naturalmente crudo, alla temperatura giusta, versare il caglio, aspettare che diventi quasi solido e col bastone rompere la cagliata in frammenti, mescolare… Il gesto è storia, è cultura. Dunque, è un valore da difendere".

La territorialità è la chiave, un mantra che Ciccio Sultano usa per difendere al tempo stesso l’ambiente e il cibo: "Se vengo in Sicilia mi devo sentire in Sicilia quando mi siedo a tavola. Tutto deve essere filtrato dalla saggezza dell’uomo, e come cuochi abbiamo il dovere di usare il più possibile i prodotti della nostra terra e chi ne preserva, profumi, semi, aromi. È anche il modo migliore per rispettare gli altri. La vera sostenibilità è essere più umani e trattarci bene tra noi. Spendiamo milioni per cibo per cani, però non aiutiamo la persona accanto a noi. Quella che in termini religiosi si chiama carità, per i laici è solidarietà. Non possiamo non essere solidali. Fa bene alla mente, al corpo e all’ambiente".

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