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Vi spiego come fare soldi legittimando opere false

Sono un critico d'arte. Se volessi diventare ricco, se volessi fare soldi, molti soldi, senza tradire la legge, ma tradendo una legge non scritta e più suprema, quella del doveroso, sacrosanto rispetto verso la storia dell'arte e soprattutto verso la propria coscienza, farei quanto segue. Farei cioè quello che, né più né meno, vedo fare a vari miei colleghi. Vi spiego come si possono fare soldi non producendo falsi, ma legittimando falsi: false opere d'arte spacciate per vere. Dunque, partiamo da qui: sono un critico d'arte conosciuto. Non è un titolo di merito essere conosciuto nel settore. È la condizione ineliminabile affinché accada quanto segue. Infatti, proprio in virtù della mia notorietà, vengo cercato da imprenditori facoltosi, industriali, banchieri, collezionisti, che mi chiedono di fare da mediatore per l'acquisto di opere.

Fin qui, nessun problema, tutto limpido: loro hanno liquidità da spendere, da investire, e vogliono farlo acquistando capolavori dall'alto valore economico per un tornaconto finanziario, per operazioni di capitalizzazione di denaro, per puro desiderio di esporre sulla parete di casa un dipinto o una scultura di cui poter dire ad amici, colleghi o familiari: questo è un Salvador Dalì, un Pablo Picasso, un Giorgio De Chirico, un dipinto, o più dipinti, di un artista benedetto dal mercato a livello mondiale.

Tutto limpido finora: queste persone abbienti mi chiamano e vogliono servirsi della mia competenza nell'arte per comprare questo o quello, per avere un giudizio su una scultura invece che su un'altra, per avere un'indagine di mercato su quale, tra gli artisti su cui vorrebbero investire, possiede più chance di crescere di prezzo nel tempo. Si chiamano consulenze: tu offri il tuo sapere specifico, che loro non hanno, e ti fai pagare per questo.

Il punto sono i passaggi successivi: i mercanti e i galleristi cominciano a sapere che, attorno a te, girano investitori e miliardari intenzionati a impegnare cifre molto alte per aggiudicarsi una o più opere. Che cosa fanno? Fanno il loro lavoro: ti rendono noto che loro stessi, oppure contatti molto vicini, sono in possesso di ciò che ti interessa. Vuoi un Picasso? Loro ce l'hanno a tot milioni di euro. Vuoi un Matthieu, un Rothko, un Botero, un Modigliani, un Sironi, un Fontana? Loro ce l'hanno. E ti dicono: se lo vendi, una parte del guadagno spetta a te.

Finora tutto scorre: si chiama libero mercato. Loro hanno ciò che, per conto d'altri, tu vai cercando e te lo offrono, allietandoti con una percentuale in caso di trattativa portata a buon fine.

Dov'è che queste operazioni di libero mercato diventano uno schifo? Un inganno? Una truffa legale? Un'abiura vergognosa verso la storia dell'arte? Nei passaggi successivi.

Dunque loro ti fanno vedere quest'opera stimata tot centinaia di migliaia di euro o milioni di euro. Tu, ovviamente, dovendo mediare, esigi informazioni documentate: qual è la sua storia? Da dove proviene? Chi ne è il proprietario legale? Dove è stata pubblicata? Quali certificati d'autenticità possiede?

Ecco, è qui che il gioco fino a ora pacifico diventa torbido, fangoso: è qui che il terreno scivola tra il legale e l'illegale, tra l'onestà e l'astuta, sdrucciolevole convenienza; ma per vari miei colleghi, e per vari mercanti, è proprio qui che il gioco diventa economicamente assai fruttuoso.

Tutto sta nel non fare ciò che, invece, a questo punto, dovrebbe rigorosamente fare il critico d'arte: ovvero non fare una severissima, inflessibile diagnosi di documenti e carte che vengono messi a disposizione. Qui dovrebbe vedersi l'autorevolezza della figura critica: nel non fidarsi di ciò che palesano le carte e i documenti e andare a fondo a capire se l'opera è effettivamente autentica, oppure è dubbia, incerta, discutibile, o addirittura falsa.

Questo è il discrimine, qui risiede la differenza. Perché per il mercante che vuole chiudere l'affare, tutti i documenti sono apposto, l'opera è chiaramente autentica, la storia comprova la sicura paternità dell'artista, le pubblicazioni a sostegno ci sono e vengono elencate. Dunque è tutto a posto per arrivare alla trattativa e finalizzare l'accordo.

Se il critico d'arte vuole i soldi, questo è il momento di non farsi troppi scrupoli, di non verificare con spietata intransigenza ciò che viene mostrato, e di non esigere ciò che manca: in altre parole, per il critico astuto, questo è il momento di non dare completezza ai suoi accertamenti, anche perché le verifiche costano, richiedono spostamenti in varie città o nazioni, svariati appuntamenti, reperimento di materiale non facilmente recuperabile (mai niente per telefono, mai niente a voce, tutto per iscritto), e l'affare può sfumare da un momento all'altro, se il possibile acquirente ci ripensa, oppure se il venditore trova un compratore più disinvolto. Se il critico d'arte vuole i soldi, questo è il momento di avallare l'operazione, mettere la sua autorevolezza a suggello della trattativa e portare il compratore e il venditore a un accordo economico che li soddisfi entrambi. Il punto è che proprio questo suo suggello può convalidare, con tanto di dichiarazione scritta ben retribuita, un falso o un'opera dubbia.

Il mercante, infatti, oltre a vantare amicizie illustri e il giro di contatti giusti, ti dirà: la mia azienda ha tanti anni di esperienza nella vendita di opere d'arte, il dipinto che ti propongo è stato esposto in questo museo, in questa galleria, in questa importante fiera d'arte, è stato pubblicato in questo accreditato catalogo, si allega la certificazione della fondazione di riferimento che tutela i diritti specifici dell'artista. Insomma, ci sono tutte le carte in regola perché l'opera sia vera e costi quanto richiesto.

Il punto è che spesso simili documenti, all'apparenza ineccepibili, non sono inappuntabili, se vai a fare ciò che deve deve! fare un critico d'arte, ovvero scandagliare con la massima inflessibilità e senza alcuna accondiscendenza tutto quanto: analizzare il fronte e il retro; verificare i punti di maggior dubbio circa l'originalità dell'opera; controllare la sua provenienza studiando i documenti originali, non in copia; rintracciare la sua storia attingendo alle fonti prime, non basandosi su fonti riportate come, ad esempio, sfogliare innocuamente i cataloghi in cui l'opera si direbbe inserita; non basta cioè un riscontro generico della bibliografia abbinata all'opera, una valutazione dei certificati allegati, serve una corrispondente controverifica diretta presso la fondazione o l'ente di riferimento che tutela l'artista (se vi è), oppure una controverifica presso gli archivi e i documenti ritenuti più attendibili; se l'opera è pubblicata in catalogo, come spesso accade, verificare che il curatore sia accreditato e non abbia avuto problemi giudiziari, venuti alle cronache, circa illeciti nell'arte; verificare, infine, la credibilità dell'ente che tutela l'eredità dell'artista e, laddove essa fosse incerta o compromessa da pregresse azioni giudicate illegali o non trasparenti, renderlo noto in ogni atto scritto.

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