Un Conte l’abbiamo visto, in difficoltà, spalle al muro contro il pannello degli sponsor, costretto ad aspettare la prossima domanda, severa ma giusta, dello studio tv. L’altro Conte l’abbiamo solo immaginato, rintanato a Palazzo Chigi dopo che uno junior partner della coalizione l’aveva sbeffeggiato nell’aula del Senato, e costretto in difesa a telefonare ai giornalisti per raddrizzare almeno la narrativa della giornata.
La vera differenza è che Conte, Antonio, esce dall’Europa, mentre Conte, Giuseppe, con grandi compromessi, rimane ancorato a una certa idea di Europa, quella che vota la riforma del Meccanismo europeo di stabilità ma poi ha idee troppo confuse per usare, quei denari. Il calcio è più serio della politica, in qualche modo, o meglio è organizzato. Conte, Antonio, gioca in uno spazio regolato e dunque il pareggio stanco di San Siro, sei punti in sei partite in coppa, significa una sola cosa: fuori. Conte, Giuseppe, gioca nello spazio del possibile, del chiaroscuro, chi dirà mai se ha vinto o perso, e dunque rivendica il successo in aula e poi si affretta a dichiarare del “colossale fraintendimento” sul metodo per spendere 209 miliardi di euro per spegnere in fretta l’incendio innescato da Matteo Renzi.
Per entrambi i Conte, in questo anno così lungo che sembrano tre, è una nottataccia. Conte, Antonio, ha di nuovo di fronte l’incubo di non saper far sognare, che poi al calcio si chiede questo, se non altro. Conte, Giuseppe, vede improvvisamente che il consenso dei mesi più difficili si sgretola e gli alleati disposti a difenderlo non si contano più a dozzine.
La grande domanda che avanza nella notte è quasi ontologica: perché Conte, Antonio, si è dannato l’anima per una stagione intera, per arrivare in zona Champions, se poi, chiamato a offrire la migliore prestazione sul palcoscenico d’Europa, non riesce che a offrire un umido pareggio? Se ne riparla a settembre 2021, che appare così lontano.
E ugualmente perché Conte, Giuseppe, battaglia giorno e notte per il suo governo; si batte in Europa (almeno lui), conquista persino, tristemente aiutato dalla pandemia, l’idea che i debiti diventino un po’ più collegiali (e dunque anche tedeschi); ottiene una fiducia inedita dei mercati (obbligati a credere per non piangere), e poi proprio al momento decisivo, quando deve iniziare a spendere al meglio duecentonove miliardi, praticamente sette finanziarie in un colpo, roba per cui generazioni di politici lo invidia e invidierà, si fa mettere in fuorigioco dal fuoco amico e si presenta con una bozza decisamente migliorabile?Original Article
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