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Ultrà del Napoli travolse e uccise tifoso avversario, per il giudice voleva solo fuggire

AGI – "Il contegno di Manduca non sembra proiettato con significativa decisione verso la deliberata commissione dell'illecito, ma diversamente mosso dall'intento di darsi alla fuga". Così il gip di Milano, Carlo Ottone De Marchi, nelle motivazioni con cui spiega la condanna a 4 anni per omicidio stradale nei confronti di Fabio Manduca, 40enne napoletano coinvolto nella morte di Daniele Belardinelli, il tifoso varesino rimasto vittima degli scontri tra le tifoserie dell'Inter e del Napoli il 26 dicembre 2018 fuori da San Siro.

Proprio alla confusione derivante dagli scontri di quella sera fa riferimento il gip quando ricostruisce la dinamica dei fatti di via Novara, parlando di "uno scenario fortemente compromesso per le circostanze di tempo e luogo". Manduca – scrive – aveva intenzione di "abbandonare al più presto la situazione di guerriglia venuta a crearsi con l'invasione della carreggiata da parte dei tifosi", inoltre "il contesto illecito nel quale si è trovato ad agire l'imputato non è stato da lui volontariamente causato, ma dall'agguato sulla strada da parte dei tifosi interisti".

La pena quindi, decisa il 30 novembre nell'udienza del rito abbreviato, è di 4 anni: sensibilmente inferiore a quella a 16 anni chiesta dalle pm Rosaria Stagnaro e Michela Bordieri, che nelle loro requisitorie avevano parlato di omicidio volontario con dolo eventuale.

Il gip spiega inoltre che "c'è dolo eventuale quando è possibile ritenere che l'imputato non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento", ma in questo caso "il quadro probatorio così magmatico e fragile" non permette di dimostrarlo.

Ecco che "la condotta" è quindi "connotata da colpa con previsione e non da dolo". Nello specifico, la Renault Kadjar alla guida della quale c'era il napoletano Manduca aveva rallentato e aveva fatto una manovra per "crearsi una via di fuga", come emerso nelle audizioni dei due testimoni Piovella e Da Ros. In conclusione: la "condotta dell'imputato, per quanto imprudente" non può definirsi dolosa e "in considerazione delle incertezze emerse" il reato è riconfigurato in omicidio stradale: una fattispecie derivante da quella di omicidio colposo e dunque caratterizzata da imprudenza, negligenza e imperizia.

Ed in effetti la difesa, affidata all'avvocato Eugenio Briatico si era sempre concentrata sull'elemento della non intenzionalità di colpire Belardinelli. In un'intercettazione, Manduca ‘ammise' l'incidente, ma disse, in napoletano: “chill se vuttat iss annanz a machin. Ma si pur' l'agg' vuttat' non ce ne simm' accort”, “quello si è buttato sotto la macchina, ma se anche l'ho buttato non ce ne siamo accorti”.

L'auto passò con tutte e due le ruote del lato destro sul corpo dell'ultrà del Varese (squadra gemellata con l'Inter) rimasto ucciso; immediatamente dopo la sua situazione non apparve gravissima, tanto che alcuni amici – tra cui Luca Da Ros, unico a collaborare con gli investigatori – lo sollevarono e portarono in macchina all'ospedale San Carlo. Belardinelli morì qualche ora dopo per le lesioni plurime alle gambe e al bacino (come accertato anche dalla successiva autopsia a firma della dottoressa Cristina Cattaneo).

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