Si ritirano sempre di più. I ghiacciai, italiani e non solo, subiscono gli effetti dei cambiamenti climatici da anni, ma il bilancio del loro ritiro sta diventando pesante. A fare il punto, in vista della Giornata internazionale della montagna, l'11 dicembre, è Legambiente che con la "Carovana dei ghiacciai", in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano (Cgi), ha monitorato 12 ghiacciai alpini che "soffrono" per la perdita di neve e ghiaccio e la degradazione del permafrost.
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Si stima che la superficie glacializzata dell'arco alpino si sia ridotta del 60% negli ultimi 150 anni. La deglaciazione colpisce soprattutto le Alpi Orientali dove, stando agli ultimi dati diffusi dal Comitato Glaciologico Italiano (Cgi), nello stesso intervallo di tempo i ghiacciai delle Alpi Giulie hanno visto ridursi il proprio volume del 96% e la propria area dell'82%.
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di Giacomo Talignani
Situazione non buona anche per i ghiacciai delle Alpi Occidentali e Centrali: sulle prime, sono praticamente scomparsi i ghiacciai delle Alpi Marittime e vi sono molti ghiacciai in cui l'arretramento della fronte ha superato le decine di metri all'anno; sulle Alpi Centrali preoccupa lo stato di salute del grande ghiacciaio dei Forni che, con un'estensione areale di circa 11 kmq, è il più esteso in Italia dopo quello dell'Adamello. Il ghiacciaio dei Forni mostra oggi una fronte appiattita e coperta di detrito, crepacciata, con fenomeni di collasso e cavità in ghiaccio.
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Ma i ghiacciai si dimostrano anche sensibili testimoni della qualità dell'aria: preoccupa la presenza ad alta quota di black carbon, polveri derivanti dall'inquinamento atmosferico di origine antropica proveniente da incendi e da inquinanti che arrivano dalla pianura.
Questa componente fa sì che il ghiacciaio fonda più rapidamente. La presenza di black carbon, di tracce di microplastiche e di vari inquinanti, come su tutti i ghiacciai del pianeta, è un altro segnale dell'invadenza dell'impatto antropico sulla terra.
Il lavoro di ricercatori e operatori del Comitato Glaciologico Italiano ha permesso di registrare, da fine Ottocento, la memoria dei segnali di ritiro glaciale nelle Alpi, producendo serie storiche di dati indispensabili per avviare analisi retrospettive e interpretare gli scenari futuri. Per la catena alpina, questi dati parlano chiaro: dal 1850 ad oggi, mentre la temperatura media annuale aumentava di 2°C (il doppio della media globale), le aree coperte dai ghiacciai alpini si riducevano di oltre il 60%. Le prospettive future si ricavano dal confronto coi dati più recenti: dalla fine del decennio 1980 la contrazione dei ghiacciai si è notevolmente accelerata e i delicati equilibri degli ambienti glaciali d'alta quota sono sconvolti dal progredire del riscaldamento climatico.
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Nelle Alpi Orientali preoccupa la situazione del ghiacciaio della Marmolada che in base agli ultimi dati raccolti dai ricercatori potrebbe scomparire nell'arco di 15-20 anni. Nel settore delle Alpi centrali, monitorato con il contributo del Servizio Glaciologico Lombardo, procede incessante da numerosi anni, soprattutto sui ghiacciai lombardi, la contrazione delle fronti, particolarmente marcata nel 2018. La contrazione dei ghiacciai lombardi è sottolineata da numerosi apparati che sono scarsamente alimentati o addirittura quasi completamente privi di neve residua alla fine della stagione di ablazione. Tra i gruppi montuosi più esposti vi sono il Gruppo Ortles – Cevedale, il Gruppo Badile – Disgrazia e il Gruppo Bernina e anche il Gruppo Adamello.Original Article
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