ROMA – “Al ministro Di Maio dirò: non c’è rabbia nei confronti suoi né del governo, ma a Mazara del Vallo abbiamo un dolore e una solitudine tremendi. Lo Stato non sembra in grado di tutelarci. Le madri, le mogli, i figli dei 18 marittimi sequestrati da Haftar vogliono solo che tornino a casa. Pregano per passare il Natale insieme. Ogni mattina ci alziamo e siamo come zombi aspettando notizie”. Mentre Salvatore Quinci, il sindaco di Mazara del Vallo, parla, la grande aula consiliare che si affaccia sul mare, vicina al chiostro, è il solito viavai di parenti dei pescatori prigionieri a Bengasi. Qui ci si scambia le notizie, incessantemente.
È il centoduesimo giorno di prigionia. Il sindaco incontrerà nei prossimi giorni, forse ad ore, il ministro degli Esteri, anche se in video conferenza, perché Di Maio è in quarantena dopo il consiglio dei ministri in cui la responsabile del Quirinale, Luciana Lamorgese, è risultata positiva al Covid. Non ci sarà una diretta nell’aula consiliare di Mazara, ma un faccia a faccia sindaco-ministro.
Anche al Senato, ieri, si è parlato dei pescatori di Mazara. L’ha fatto Matteo Renzi in aula, citando i servizi segreti e l’esempio virtuoso del 2015, quando in poche ore 4 pescatori sequestrati in Libia vennero rilasciati. Li ha ricordati il premier Conte nell’intervista a Repubblica. “L’impegno della politica sta crescendo. L’attenzione delle istituzioni c’è. Il presidente Mattarella mi ha telefonato personalmente. Però ci vuole una mobilitazione straordinaria da parte della politica, perché se no non riusciremo ancora a venirne a capo: l’Italia si gioca il tutto per tutto”.
Mazara, 51600 abitanti, ha una economia che gira attorno alla pesca del prezioso gambero rosso. Delle migliaia di pescherecci di trent’anni fa, ne sono rimasti 80. Due di queste navi – la Artemide e la Medinea – sono state fermate e i capitani e l’equipaggio sequestrati il primo di settembre. L’accusa è di avere sconfinato in acque che il generale Haftar considera “zona esclusiva di pesca”, mentre sulle mappe sono acque internazionali. Nella trattativa per la liberazione, Bengasi ha fatto sapere di volere in cambio la liberazione di quattro libici perché calciatori professionisti, i quali sono inveci stati condannati dall’Italia in secondo grado, in quanto scafisti coinvolti nel naufragio di decine di migranti.
La vigilia di Natale a Mazara – 51 mila e 600 abitanti affacciati sull’Africa – è un tempo sospeso. Mercoledì prossimo dovrebbe cominciare un altro presidio davanti al Parlamento: le famiglie sono pronte a venire di nuovo a Roma per l’altro sit in, con tutte le precauzioni anti Covid. Il Papa ha lanciato a sua volta un appello. Se ne aggiungono continui. I nomi vengono rilanciati dall’Agesci e dalle associazioni che si sono mobilitate. Li ripete il sindaco Quinci: “Sono prigionieri a Bengasi: Giacomo e Fabio Giacalone, Salvo Bernardo, Vito Barraco, Michele Trinca, Giovanni Bonomo, Indra Gunawan, Moh Samsudin, Ben Thameur Heidi, Ben Thameur Lysse, Pietro Marrone, Onofrio Giacalone, Karaouni Mohamed, Daffe Bavieux, Ibraim Mohamed, Mathalouthi Habib, Ben Haddada, M’Hamed, Jemmali Farhat. Tutti mazaresi, con le famiglie qui, anche se non tutti italiani”.
Non sono una novità i sequestri dei pescherecci: negli ultimi 25 anni ce ne sono stati 50, con milioni di multe pagate dagli stessi armatori. Però oggi, avverte i sindaco, “c’è una situazione che va al di là del tema che pure si dovrebbe affrontare sulla pesca nel Mediterraneo, e riguarda il disegno geo politico di Haftar che è riuscito anche in questo modo a rimettersi al centro dall’angolo in cui è finito, tenendo in scacco l’Italia. La storia dello scambio con i quattro libici è a dir poco opaca”.
C’è stata una sola telefonata, esattamente un mese fa a novembre, in cui le famiglie hanno potuto sentire le voci dei sequestrati. “Solo però gli italiani, con ciò creando divisione e altro dolore”, aggiunge Quinci. Sembrava essere giunta la conclusione. Invece c‘è stato un nuovo gelo.
Avevano ripreso il mare i pescatori di Mazara a fine maggio, dopo i lockdown in cui hanno rischiato di dover buttare le scorte di oro rosso, il gambero più pregiato, acquistato in tutto il mondo quando è ancora sulle barche. Il sindaco: “I familiari sono disposti ad accamparsi a Roma anche a Natale. Lo Stato riporti le persone, innanzitutto. Sapendo, che i nostri armatori non potrebbero mai più affrontare i rischi della pesca del prezioso gambero rosso, se non hanno alcuna tutela”.Original Article
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