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Max Casacci, ‘Earthphonia’, l’uomo al servizio della natura: “La mia opera musicale per il mondo che ci aspetta”

“Ho immaginato il suono del mondo che sarebbe venuto dopo”. Quel dopo si riferisce alla fine della pandemia. Al ritorno alla vita, alle relazioni, al contatto fisico. All'umanità. Ma anche alla natura. Nelle strade ma ora, più che mai, sotto ai cieli e sulla terra che da millenni ci accoglie. È questa frase che Max Casacci, a un certo punto, pronuncia, come a sintetizzare il cuore pulsante di Earthphonia, il disco in uscita l'11 dicembre per Sugar/Universal interamente realizzato con i suoni provenienti dalla natura. E che, per dirla con un termine naturalistico, come un 'effetto valanga' è diventato anche un circolo di scoperte che hanno fatto nascere prima un disco, o meglio un iper-disco fruibile in più modi (c'è anche un filtro di realtà aumentata che espanderà l'oggetto fisico), e poi un libro dallo stesso titolo, scritto con il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi econ tanti (alcuni nuovi) amici, dalla biologa marina Mariasole Bianco al gastronomo Carlo Petrini, dal cantautore Vasco Brondi all'artista Michelangelo Pistoletto. In principio, però, fu pietra: rocce solo apparentemente immobili, da secoli. Che cantano. All'unisono.

Le tue radici musicali 'urbane' fatte di post punk, new wave ed elettronica porterebbero a pensare al mondo 'naturale' come qualcosa di anomalo all'interno della tua storia: e invece?
“E invece lo è, assolutamente, anomalo! Io nasco come cittadino; come unico riferimento ho sempre avuto lo scenario urbano e nella natura ci sono inciampato per caso ma questo caso ha voluto creare una sorta di reazione a catena, una concatenazione di eventi che, con una scansione molto serrata, mi hanno portato a conoscere luoghi e persone e scoprire una serie di meraviglie che poi sono collezionate nel libro”.

Il libro scritto con Mario Tozzi

Viene subito in mente il termine 'ambient music' inventato da Brian Eno. Lui voleva “un catalogo originale di musica d'ambiente adatta a un'ampia varietà di umori e atmosfere”. Questo disco c'entra qualcosa con questa definizione?
“Brian Eno è stata la mia stella polare quando avevo vent'anni. Questo disco c'entra molto con i dischi realizzati da Eno con Jon Hassell, penso al loro Fourth World, Vol. 1: Possible Musics, le 'musiche possibili del Quarto Mondo'. Mi sono rifatto ai Maestri. A loro insaputa, a volte servono!”.

La copertina del disco

Earthphonia è dunque un tuo nuovo disco o un nuovo disco della natura?
“È un disco che mi ha permesso di rapportarmi alla natura con un respiro formato album ed extra musicale. Un album cominciato due anni fa senza l'idea di farne un album, nella prima fase del lockdown, immaginando il suono di quel che sarebbe venuto dopo. È un'opera fatta a beneficio di ciò che avremmo trovato fuori dalla porta. È musica del futuro, del mondo che sta per arrivare, ma che non possiamo aspettare in modo passivo, lo dobbiamo costruire. Queste – le chiamo 'coincidenze' – sono avvenute in primis su una scogliera, a Gozo (una delle maggiori isole dell'Arcipelago maltese, ndr).
Cosa hai scoperto?
“Un sito di pietre che 'suonano' e che venivano suonate nell'antichità, durante alcuni rituali. Oggi sono abbandonate, non c'è neppure un cartello con delle informazioni. Si trovano in una località chiamata Ta' Cenc. Con il mio amico artista visivo, fotografo e 'sound healer' Luca Saini, sentiamo parlare di queste rocce, massi enormi, e decidiamo di lasciare le rispettive famiglie in spiaggia per andare a 'sentirle'. Io con un registratore digitale e lui con la telecamera. Abbiamo iniziato a suonarle per gioco, senza alcun intento. Poi però, a casa, mettendo le registrazioni una in fila all'altra, scopriamo che le pietre sono 'intonate' tra di loro, che creano intervalli armonici. Una cosa incredibile. Piano piano, con un lavoro di copia-incollatura e finitura, inizio a sovrapporle e questi suoni mi regalano un brano musicale che non pensavo minimamente di trovare durante una gita, in vacanza, sotto il sole cocente”.

foto di Luca Saini

È questa, immagino, la 'reazione a catena' di cui parlavi.
“Sì. Il video che abbiamo realizzato a Ta' Cenc l'ha poi visto Michelangelo Pistoletto che, l'anno dopo, mi chiede di sonorizzare, con lo stesso principio, i fiumi di Biella perché vuole creare un percorso chiamato Terme cultura all'interno della sua fondazione di Biella, Cittadellarte, che al centro ha, appunto, l'acqua. A Biella esistevano delle terme, a cavallo del secolo scorso, che erano tra le più importanti in Europa. Rispondo subito sì, senza sapere bene dove sarei finito, e mi metto a lavorare”.
Così è nata Watermemories?
“Esatto. Pistoletto lo considero il 'padre teorico' di Earthphonia. Nella sua formulazione del Terzo Paradiso, il terzo cerchio rappresenta l'unione tra le prime due fasi del suo percorso artistico, il Paradiso naturale con il rapporto uomo-natura e il secondo in cui la tecnologia dialoga con l'industria. Earthphonia è il luogo in cui il progresso ci aiuta a ricongiungerci con gli elementi del nostro habitat, un disco di musica elettronica, alla fine, a dispetto del fatto che non ci sono sorgenti elettroniche. Perché è vero che senza la tecnologia non sarei mai stato in grado non solo di estrarre della musica ma neppure di rendermi conto che le pietre di Gozo erano 'intonate' tra di loro”.

Max Casacci, i rumori del fiume Po sono in 'Delta'

Esistono molti dischi con registrazioni dirette di suoni della natura e, quasi sempre, vengono venduti come 'medicamentosi', per tonificare spirito e corpo. Earthphonia quale intento ha?
“È esattamente l'opposto. Inoltre, i luoghi hanno scelto me. Le pietre che mi hanno tagliato le mani a Gozo, le sorgenti gelide del torrente Cervo, le registrazioni accanto al santuario della Madonna Nera di Oropa o l'ecosistema del Delta del Po; quest'ultima registrazione mi è stata commissionata dall'Ente dell'Emilia Romagna, poi a causa del lockdown mi hanno dovuto spedire i suoni ed è stato un peccato perché avrei dovuto visitarlo con Vasco Brondi, che è un grande conoscitore di quei luoghi (nel disco Costellazioni, del 2014, ha inciso il brano Blues del Delta del Po e, con Massimo Zamboni, scritto il diario di viaggio Anime galleggianti che ripercorre il loro viaggio su una zattera attraverso un canale che collega Mantova al Delta del Po, ndr). Lì sono apparsi i due protagonisti, il cuculo e l'uccello spatola, che mi ha regalato un ritornello quasi blues! C'è poi il vento, i tuoni, il temporale. Così ho traslato tutto sull'elemento aria: ho immaginato l'ascoltatore in volo, fluttuante, con questa musica nelle orecchie”.

Max Casacci, 'Oceanbreath', il suono del mare e dei suoi abitanti

Oceanbreath, la traccia dedicata all'oceano, è violenta. Diventa noise, coi flutti impazziti e i suoni dei cetacei a chiudere: di primo acchito non è l'idea che uno ha in testa del mare.
“Anche l'oceano ha scelto me. Ho ricevuto, sempre per concatenazione, la chiamata della biologa marina Mariasole Bianco, della onlus Worldrise, che voleva ingaggiarmi in una campagna 'plastic free' da estendere a tutto il mondo musicale italiano. Ho aderito e chiacchierando è saltato fuori che Mario Tozzi le aveva fatto ascoltare i miei pezzi. Mi ha inviato la banca sonora in suo possesso, tra cui c'era anche un coro di pesci della barriera corallina australiana. Quando l'ho sentito, non ho avuto dubbi da dove partire: è sorprendente. Si trovano, a una certa ora della giornata, e cominciano a cantare. Sembra un disco della Warp! Oceanbreath non è una traccia rilassante, da ascoltare in spiaggia, è profonda, cerca la maestosità dell'oceano e alla fine diventa anche drammatica, con il rumore dei ghiacciai che si rompono: è un'esortazione a muoversi velocemente, per far sì che certe cose non accadano più”.
Nelle note si legge che questa è musica in prima linea nella battaglia per l’ambiente. Ti ha colpito vedere come ragazzi tanto giovani, come Greta Thunberg con il movimento Fridays for Future, abbiano preso in mano le redini della situazione?
“Durante la prima fase del lockdown pensavamo che ne saremmo usciti tutti migliori. Probabilmente non sarà così ma è lecito pensare che buona parte di noi andrà invece a cercare ciò che va ricucito e che è rimasto alle spalle, in un momento in cui il mondo suonava già un campanello d'allarme. Io ho sempre pensato che la musica dovesse avere un forte legame con la contemporaneità per essere onesta. Le voci che sono arrivate dalle piazze sono state per me importanti. Sia Fridays for Future che Extinction Rebellion mi hanno invitato a suonare i brani di Earthphonia durante le loro manifestazioni. Al di là di questo, mi piace il loro essere diretti, pragmatici. E questo va oltre la figura di Thunberg, che è funzionale alla comunicazione. Sono movimenti privi di personalismi, finalizzati al risultato finale”.

foto di Silvia Pastore

L'unico brano in cui non sono gli elementi naturali a essere predominanti ma alcuni dei loro ospiti, è The Queen: ovvero, le api. Anzi, un plotone di api. Hai dovuto indossare una tuta da apicoltore per catturare il loro suono?
“L'ho comprata il giorno stesso, poco prima di cominciare le registrazioni, e anche le pastiglie al cortisone perché ho paura delle punture! Ho applicato una formula narrativa solo in questa traccia. Ho manipolato le api, narrando una storia che volevo raccontare. Mentre ero lì coi microfoni, intorno alle arnie, un apicoltore, responsabile di Slow Food, mi ha raccontato la storia della regina delle api. La vita nell'arnia è molto simile a quella degli intrighi da palazzo mentre quella della regina è pura letteratura shakespeariana: nasce dovendo uccidere le altre perché deve prevalere, diventa il centro della comunità dell'alveare ma in realtà è scelta dalle operaie, deve sfornare 2.000 uova al giorno e non può nemmeno farlo con chi vuole e, nel momento in cui non è più in grado di procreare, viene soppressa, pugnalata col pungiglione o, addirittura, 'scaldata'”.
Come?
“Le api, come meccanismo di difesa, usano molto spesso il proprio corpo: circondano il nemico e, con la contrazione dell'addome, arrivano a produrre una massa di calore che arriva fino a 40 gradi. In pratica, 'cuociono' la loro preda. E così fanno con la regina…”.

La voce dei vulcani, invece, non l'hai raccolta tu: te l'ha data direttamente Mario Tozzi.
“Tozzi è stato il più entusiasta fra tutti: era elettrizzato, continuava a dirmi di dovermi mettere in contatto con questo e con quell'altro, è rimasto molto colpito dal suono delle pietre di Gozo. Questa estate, in verità, mi trovavo a Stromboli e qualcosa l'ho registrato anch'io alla Sciara del Fuoco (il ghiaione dell'isola vulcanica dove scorre la lava, ndr). Tozzi, che nasce come geologo, mi ha detto: 'Devi rappresentarle i vulcani perché sono il ritmo della Terra'. Mi ha mandato dei filmati d'epoca con le eruzioni e così ho pensato a un suono quasi da rave. Con un campionatore granulare – ovvero in grado di prendere un suono e processarlo così velocemente da fargli generare un'armonica – sono partito dalle rocce che rotolano e cadono, una specie di danza preistorica. Le radici degli alberi in Roots Wide Web fanno la stessa cosa. C'ero già arrivato ai tempi dei Deproducers, quando ho inciso l’album Botanica: in quell'occasione ho conosciuto Stefano Mancuso (direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, ndr) che mi ha fornito i suoni dell'aria e del sottosuolo. Le piante sono vive, lo sappiamo, ma 'sentirle' è un'altra cosa: si agitano, si spostano se trovano un ostacolo e 'suonano', come fossero radar”.
Alla fine, la natura cosa ti ha insegnato?
“Che siamo troppo antropocentrici: la natura, quando la esplori e ti ci cali dentro, sa sempre come rimetterti a posto. Non siamo così influenti: il mondo avrà sempre i suoi meccanismi e farà a meno di noi. Questa sensazione, quando sei lì immerso, con un microfono in mano in attesa di catturare qualcosa, ti fa capire che sei uno spettatore, un intruso. Questo è un grande insegnamento, anche artistico. Significa imparare a non voler a tutti i costi governare il processo di creazione ma affidarsi alle casualità, agli incidenti di percorso, agli errori. Come ha teorizzato John Cage. La natura dovrebbe disarmarti, invece alla fine ti dà una sensazione di grande pace”.

foto di Silvia Pastore

Quando finirà la pandemia, quale sarà il luogo adatto per accogliere Earthphonia dal vivo?
“È un album adattabile perché è nato durante il lockdown. Questa estate ho già potuto fare degli esperimenti. A un festival rock a Empoli, ad esempio, gli organizzatori avevano suggerito agli spettatori di portare delle coperte. Molti si sono persi nel viaggio sonoro, sdraiati, guardando le stelle. È stato bellissimo. Sarà un set abbinato anche ad altri miei progetti, come il dj set sostenibile fatto per Fridays for Future che mescolava i suoni naturali con quelli della città, delle biciclette. Potrà essere suonato anche in un acquario o in un giardino botanico. Ma se alla fine si potrà ballare… quella è la mia vera natura!”.
E i Subsonica? Quando torneranno a farci ballare? Saranno anche loro migliori?
“Ho nostalgia dei Subsonica dei primi cinque dischi, quando non c'era alcuna intrusione esterna. Negli ultimi dieci anni ho sofferto molto perché, a un certo punto, la musica sembrava una delle tante cose a cui badare. Torneremo: i Subsonica del futuro me li immagino più gioiosi e più coraggiosi. Uno spirito libero incentrato esclusivamente sul suono”.Original Article

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