BOLOGNA. Al Milan arrivarono insieme, nell’estate del 1985. Uno era un talentuoso ragazzo di 21 anni, che da quando ne aveva quindici si sentiva ripetere d’essere un predestinato. L’altro era semplicemente Paolo Rossi. “Sudditanza non ne ho mai avuta”, ripete oggi Marco Macina, 56 anni, da 18 impiegato al settore turistico di San Marino, casa sua. “Neanche nei suoi confronti, ma poi lui era un ragazzo che non se la tirava per nulla, di una semplicità rara. Oggi – riflette Macina, che per mille motivi sul prato verde non ha sfondato – ci sono nel calcio delle vere e proprie star, una volta era diverso, eppure la sua popolarità era travolgente. Ricordo una volta le feste che gli fece Gianni Versace in un negozio, ricordo l’affetto di tantissime persone. Mi colpiva questo, non era solo popolare, era benvoluto da tutti. Per loro era quello che aveva fatto tre gol al Brasile, era stato il bomber dell’Italia campione del mondo, eppure se ci stavi insieme non te lo faceva mai pesare. Noi per esempio capitava che ci trovassimo a cena dopo le partite, io, lui, Manzo, anche altri, legammo subito anche se io avevo 21 anni e lui otto di più”.
Quel Milan aveva un parco attaccanti d’alto livello. “Ognuno con caratteristiche diverse, c’era Hateley che di testa era fortissimo, c’era Virdis, io ero l’ala, sempre con la stessa etichetta, di essere quello che salta l’uomo, ma giocai pochissimo”. Appena cinque partite. “Poi c’era Paolo. Ricordo in ritiro a Vipiteno, io fermo per problemi di pubalgia, lui sul lettino dei dottori, con quelle ginocchia che lo facevano penare”. Il meglio l’aveva già dato, segnò appena due gol in 20 gare, ma il fatto d’averli realizzati entrambi all’Inter in un 2-2, ebbe comunque il suo peso. Era l’ultimo Milan di Farina, che poi Berlusconi avrebbe salvato dai debiti e rilanciato come forse nessuno, in quei giorni, eccetto il Cavaliere, avrebbe potuto immaginare. “Io non lo conobbi, il presidente, Paolo sì, erano stati insieme a Vicenza”.
A fine stagione presero entrambi strade diverse. Macina a Reggio Emilia, Rossi a Verona per quella che sarebbe stata la sua ultima stagione. Due anni fa si erano rivisti a San Marino.
“Così, all’improvviso, e per puro caso, lui era con sua moglie, io a pranzo avevo saputo che era qui, non ricordo nemmeno bene il motivo e mi precipitai immediatamente a salutarlo. Hai presente quando trent’anni dopo due ragazzi che erano a scuola assieme si ritrovano? Succede qualcosa di magico, si torna immediatamente a quel periodo come se in mezzo non ci fosse stato nulla, e così accadde anche a noi, lui fu come sempre squisito, perché Paolo era così, parlammo un quarto d’ora, tornammo a quell’esperienza, a Liedholm, a quel Milan, a quella stagione non certo brillante – fu l’anno in cui la Roma perse lo scudetto alla penultima in casa col Lecce, la Juve vinse il 22 esimo titolo, il Milan chiuse settimo ndr – ammetto che provai bellissime sensazioni, anche se effimere perché durarono poco. Ma questa mattina quando sentivo i ricordi di così tante persone, mi ha colpito che molte fossero donne di una certa età, gente non certo esperta di pallone, ma si capiva che lui le aveva rese felici e m’è tornato in mente quando correva Pantani, e nei bar capitava di trovare gente che non capisse nulla di ciclismo eppure voleva sapere com’era andata la tappa. Ecco, Paolo ha davvero unito l’Italia, anche perché sembrava proprio il ragazzo della porta accanto. E poi un conto è essere una stella di una squadra di club, un altro è fare quello che ha fatto lui in maglia azzurra”.
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