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La missione impossibile della Nuova Alitalia: decollo in salita e 3 miliardi a rischio

ROMA – Una bella dote da 3 miliardi di euro, un centinaio di aerei, 11.500 dipendenti, una sede a Fiumicino e zero debiti. Per Ita, o meglio per la Nuova Alitalia, il percorso pensato dal governo un anno fa, quando la pandemia sembrava solo un incubo da film, poteva anche essere sensato. Il momento però è il peggiore di sempre e i venti sono tutti contrari. Intorno a Ita non c’è infatti un mercato pronto per essere aggredito e conquistato ma solo macerie e passeggeri impauriti dal Covid, con compagnie blasonate sull’orlo del fallimento e low cost come Ryanair (primo vettore in Italia) che faticano per sopravvivere. Oggi Fabio Lazzerini e Francesco Caio, i due manager alla guida della futura linea aerea di bandiera ci vanno molto cauti: “Navighiamo a vista, tutto ciò che fino a ieri conoscevamo del settore oggi non vale più”, dicono.

C’è poco da discutere: i punti di riferimento sono inevitabilmente saltati.Oag, società specializzata in analisi e statistiche del settore aereo, ha confrontato i dati degli ultimi mesi con quelli del 2019. In Europa ci sono Paesi come la Germania e la Gran Bretagna che (al 7 dicembre) hanno perso rispettivamente l’82,2% e il l’80,9% dei voli rispetto all’anno scorso mentre l’Italia ha lasciato per strada l’80,1%. Va un po’ meglio? Forse sì ma parliamo di decimali mentre altre realtà, come la Spagna o la Francia, hanno perso meno voli rispetto all’Italia (il 67,9% e il 77,4%). Tanto per fare un esempio chiaro di ciò che sta accadendo nel mondo, la Cina è poco sotto il 2019 con il 2,2% di voli in meno e gli Usa perdono il 45,9%.

(ansa)

Per Alitalia sono numeri che non lasciano ben sperare. Sempre Oag sottolinea come l’Italia, che vanta 3 dei 20 collegamenti più gettonati nel mondo, perda passeggeri. Anche se ci sono vaghi segnali di ripesa per il periodo natalizio: quelli con la Spagna segnano meno 86,4% sul dicembre 2019; quelli con la Germania –88,6% e gli spostamenti con la Gran Bretagna meno 82,6%. Ma siamo sempre ben al di sotto di numeri che possano giustificare la nascita e la sopravvivenza di una compagnia di bandiera che, ricordiamo, ha perso in media tra i 400 e i 500 milioni di euro ogni anno. Un ritmo forsennato che potrebbe consumare l’investimento statale da 3 miliardi nel giro di 4 anni al massimo senza introiti robusti.

(agf)

Se alle statistiche di Oag si sommano le previsioni appena sfornate dalla Iata, associazione che rappresenta la quasi totalità delle compagnie aeree, l’Italia è destinata a perdere 117 milioni di passeggeri sui 193 milioni calcolati da Assaeroporti nel 2019, ovvero il traffico sarà di soli 76 milioni di viaggiatori. Questa situazione metterà a rischio licenziamento circa 414.300 lavoratori del settore solamente nel nostro Paese, con un crollo del contributo al Pil nazionale di circa 25 miliardi di euro in meno rispetto all’anno passato.

Alitalia-Ita navigherà in acque tempestose e a poco servono le rassicurazioni sull’utilizzo massiccio del personale e l’ottimismo sui numeri degli aerei che torneranno “presto” in flotta. Oggi. Nell’Alitalia in amministrazione straordinaria da 3 anni e 7 mesi, ci sono circa 6.800 persone in cassa integrazione su 11.500. Questo significa che la nuova compagnia partirà in aprile con le restanti 4.700 unità e una flotta al minimo, ridotta tra i 40 e i 70 aerei a seconda degli scenari. Per tornare ai livelli del piano industriale stilato lo scorso anno e rimettere in piedi una compagnia con 100 e più aeroplani e oltre 11 mila occupati a tempo pieno, occorreranno almeno tre anni. Ma senza passeggeri e con i ricavi al lumicino anche Alitalia-Ita rischia di fare la fine delle sue “versioni” precedenti.

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