Prima di diventare uno degli interpreti spagnoli più amati al mondo (su Instagram conta oltre 15 milioni di follower), Jaime Lorente era uno studente indisciplinato che, dopo l'incontro con due docenti illuminati, ha scoperto l'amore per il palcoscenico. "Mi piace portare in scena testi capaci di emozionarmi, non cambia molto se devo recitare davanti a una cinepresa o col pubblico di fronte a me. Il teatro, però, resta il primo amore" ammette il 28enne spagnolo, che tuttavia deve la fama proprio alla serialità televisiva.
Dopo alcune particine sul piccolo schermo e una soap di successo ("Sul set di Il segreto memorizzavo decine di pagine al giorno e lavoravo a ritmi serrati, è stata una grande scuola"), entra nel cast di La casa di carta, la serie non in lingua inglese più vista su Netflix, e poi di Élite. Lui passa dall'anonimato ai paparazzi, i fan lo chiamano Denver come il suo personaggio (cosa che non sopporta) e sui social gli inviano nudi che lo fanno sentire violato, mentre i vicini di casa gli scattano foto insieme alla fidanzata, l'attrice María Pedraza, da vendere ai tabloid. Una popolarità che potrebbe aumentare quando, il 18 dicembre, debutterà su Amazon Prime Video, in più di 240 Paesi, la serie in cinque episodi El Cid, ispirata alla vita del leggendario condottiero medievale spagnolo Rodrigo Díaz de Vivar. La storia, ambientata nell'XI secolo, parte dall'infanzia del protagonista, quando Ruy è un ragazzo di strada, per raccontarne l'evoluzione in vassallo, cavaliere ed eroe per la corona, in una Spagna sanguinaria. Una produzione ambiziosa e spettacolare che ha coinvolto una troupe di duecento persone e 11 mila comparse.
El Cid è un personaggio iconico, Charlton Heston lo interpretò nel 1961. Lei come si è preparato?
"È un ruolo importante e un'arma a doppio taglio, perché trattandosi di una figura leggendaria c'era il rischio di cadere nei cliché. Potevamo rappresentarlo come un eroe senza macchia e senza paura, come accade al cinema con i supereroi. Ruy non potrebbe essere più diverso: ho cercato di dare vita a un uomo normale, con i suoi problemi, i dubbi, le virtù. Volevo mostrare dei lati diversi rispetto a ciò che si aspetta la gente e, per fortuna, sono stato supportato dal resto del team. Questo è stato uno dei lavori migliori della mia carriera, ma anche il più duro".
Racconti.
"È stata un'esperienza impegnativa e complessa da un punto di vista fisico: giravamo spesso al freddo e molte scene erano a cavallo o sul campo di battaglia. Ero così stanco che, a volte, sembravo uno zombie. Mi sono allenato con un personal trainer per diventare forte abbastanza da essere credibile durante i duelli e ho imparato addirittura a utilizzare la spada".
L'hanno aiutata le lezioni di danza prese da ragazzo?
"Sì, la memoria del corpo cambia, ma si tratta comunque di imparare una coreografia, anche con la spada in mano".
Ruy non permette alla paura di rallentare il suo viaggio e affronta continuamente situazioni al limite. Per lei la paura rappresenta un freno o una spinta?
"Nella vita quotidiana sono piuttosto pauroso, mi spaventa tutto (ride, ndr). Tuttavia non ho mai lasciato che la paura mi paralizzasse: la riconosco e la accetto, ma cerco di guardare oltre. Per molti si tratta di un sentimento che si affaccia quando si abbandona la propria zona di comfort".
Qual è stata l'ultima volta che le è capitato?
"Quando ho intrapreso questo mestiere, in cui non ci sono certezze per nessuno. Ogni personaggio che interpreto mi allontana un po' dalle mie sicurezze e cerco di non ripetere mai quello che ho già fatto. È un lavoro che mi stordisce e che alimenta mille dubbi e domande: ce la farò o sarà un disastro? Mi sono reso conto che alla fine ne vale sempre la pena, mi fa sentire libero".
Anche quando i risultati non soddisfano le aspettative?
"Ci sono state occasioni in cui mi sono sentito abbastanza sicuro di me da interpretare un ruolo che non capivo fino in fondo: poi, quando ho visto il risultato finale, mi sono accorto che era immondizia. Ciò che ho appreso, andando avanti con gli anni, è la consapevolezza di non sapere un bel niente".
Di recente è tornato a teatro con il monologo Matar Cansa: cosa ha significato, in un anno tragico per la cultura come questo?
"La quarantena è stata dura: non mi fermavo da due anni e mezzo e mi sono improvvisamente reso conto di quanto mi mancassero le cose che avevo trascurato al di fuori del set. Tornare su un palcoscenico è stato splendido, mi è sembrato un modo per sostenere la riapertura dei teatri: questi sono tempi difficili e vorrei che la cultura fosse supportata di più. Spero di aver contribuito, nel mio piccolo. Il teatro è il mio santuario, un luogo sacro: sei da solo con le tue parole e gli spettatori, in un viaggio senza pause. Cinema e tv sono affascinanti, ma non c'è la stessa sensazione di continuità".
A proposito di tv: in passato ha dichiarato che lavorarci l'ha fatta sentire smarrito. Perché?
"Più che al lavoro in sé mi riferivo al successo derivato da quelle esperienze: dopo La casa di carta mi sentivo isolato, solo contro il mondo. Ha rivoluzionato la mia vita personale e artistica: la fama porta con sé il caos, è come ricominciare da zero e tutto cambia velocemente. In quanto artista contengo moltitudini, ma il pubblico mi percepisce solo come l'attore di quelle serie, mentre io voglio parlare anche d'altro".
La soluzione?
"Conoscere i propri valori e mettere le cose in prospettiva. Ho scoperto la psicoterapia, una cosa meravigliosa che mi ha aperto gli occhi. Oggi sono molto più felice che in passato".
Ha appena debuttato come cantante col singolo Corazón.
"Mi è sempre piaciuto fare rap, ma non avevo mai deciso di provarci davvero. Mi sono detto: perché no? Ho voglia di condividere, sono in una fase in cui voglio aprirmi a nuove occasioni. Questo brano è uno specchio attraverso cui la gente capirà chi sono veramente".
C'è un album all'orizzonte?
"Non lo so, lavoro senza troppe aspettative. Se non dovesse accadere, andrebbe bene comunque. Del resto per me ha sempre contato più il percorso che il risultato finale".
Lo scorso anno ha pubblicato una raccolta di poesie, A proposito della tua bocca. Ha continuato a scriverne durante il lockdown?
"No, per niente. Non mi reputo uno scrittore, di solito mi viene in mente qualcosa e sento l'impulso di mettere i pensieri sulla carta. Tutto il mio percorso artistico è una continua ricerca della mia voce: spero di trovarla alla fine del viaggio, l'importante è continuare a porsi le domande giuste".
Ci sarà una seconda stagione di El Cid?
"Sono un tipo cauto: a meno che Amazon non lo confermi direttamente, non aprirò bocca. Però, sì, mi piacerebbe, sarebbe una bellissima occasione di continuare a raccontare questa storia epica".
Sul Venerdì del 4 dicembre 2020Original Article
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