MILANO – La Corte d'appello di Milano ha confermato l'assoluzione per Fabio Riva, uno dei componenti della famiglia ex proprietaria dell'Ilva di Taranto, dalle accuse di bancarotta per il crac della holding Riva Fire che controllava il gruppo siderurgico. Malgrado il ricorso in appello della procura, la procuratrice generale Celestina Gravina aveva sollecitato la conferma dell'assoluzione "perché il fatto non sussiste".
Gli altri componenti della famiglia Riva, Adriano e Nicola, erano già usciti dal procedimento patteggiando la pena rispettivamente a due anni e sei mesi e a tre anni di carcere dopo che un precedente tentativo di patteggiamento era stato rigettato dal gup perché la pena proposta era "non congrua" e dunque troppo bassa. Fabio Riva, ex vicepresidente dell'Ilva di Taranto, era dunque l'unico andato a processo nella vicenda.
Nella gestione dell'Ilva di Taranto da parte della famiglia Riva, tra il 1995 e il 2012, aveva scritto il gup Lidia Castellucci nelle motivazioni dell'assoluzione in primo grado nel luglio 2019, la società ha investito "in materia di ambiente" per "oltre un miliardo di euro" e "oltre tre miliardi di euro per l'ammodernamento e la costruzione di nuovi impianti" e non c'è stato il "contestato depauperamento generale della struttura". Contro questa sentenza la procura di Milano, che in primo grado chiese oltre cinque anni per Fabio Riva, aveva fatto ricorso in appello. Se i soldi trovati "nei trusts della famiglia Riva, alimentati con le risorse sottratte al gruppo", avevano scritto i pm nel ricorso, fossero stati investiti "quantomeno in parte nell'adeguamento degli impianti alle crescenti esigenze di tutela ambientale, anziché andare ad impinguare le tasche dei Riva in modo occulto, la società non sarebbe incorsa nelle note vicissitudini amministrative e giudiziarie comunque connesse alla crisi del gruppo". Il ricorso, però, non è stato coltivato in aula dal sostituto pg Gravina.
I legali: "La famiglia Riva ha creato ricchezza"
"Siamo molto contenti perché la giustizia e il diritto tornano ad essere quello che devono essere nella società: ovvero una modalità per una risoluzione pacata dei conflitti", ha commentato l'avvocato Salvatore Scuto, che ha guidato (insieme al collega Giampaolo Del Sasso) il collegio difensivo di Fabio Riva. E ancora: per molti anni "Fabio Riva e la sua famiglia hanno creato ricchezza nel rispetto delle leggi. La sentenza riconosce questo ruolo. Oltre a rispettare i criteri ermeneutici", la corte "ha rispettato anche la verità storica ovvero una verità diversa da quella prospettata dai pm di Milano".
Nell'ottobre 2017 Fabio Riva e il fratello Nicola si erano visti respingere dall'allora gup Chiara Valori la richiesta di patteggiamento (rispettivamente a cinque e a due anni), concordata con la Procura, nell'ambito dell'inchiesta sulla bancarotta, perché la pena era stata ritenuta "incongrua". Nel febbraio 2018, poi, Nicola Riva aveva patteggiato tre anni, mentre Fabio Riva ha scelto l'abbreviato e oggi per lui si è chiuso il secondo grado.
Nel maggio 2017 aveva patteggiato due anni e mezzo Adriano Riva, fratello di Emilio, l'ex patron del colosso siderurgico scomparso nel 2014, firmando anche la transazione di rinuncia a quella grossa somma sequestrata dai pm nell'inchiesta sul crac della holding.
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