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Ecco chi sono gli astronauti che riporteranno l’America sulla Luna

La Nasa ha presentato il suo “Artemis team”, diciotto astronauti americani. Tra loro, ci saranno con molta probabilità il prossimo uomo ma, soprattutto, la prima donna a posare il piede sulla Luna, forse già nel 2024. Parità di genere rispettata, sono nove uomini e nove donne a vestire la tuta blu sulla quale sarà cucito il logo del programma spaziale lunare. Una selezione multidisciplinare e multietnica (tre afroamericani, un ispanico, un americano di origine coreana, una americana di origine iraniana e un americano di origine indiana) che tiene conto di molte esperienze preziose per l’esplorazione spaziale: tra loro ci sono piloti militari e ingegneri, ma anche medici, geologi e biologi. Non è detto che sia la “squadra titolare”, ancora, perché la stessa Nasa ha precisato che ci saranno altre selezioni, anche di astronauti non americani, di agenzie spaziali (come quella Europea e italiana) partner nella nuova avventura lunare.

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I veterani e i debuttanti

Presentando “gli eroi che ci porteranno sulla Luna e oltre”, il vicepresidente Mike Pence li ha definiti la “Artemis generation”. Ci sono sei veterani, tra loro Christina Hammock Koch, 328 giorni nello spazio (detiene il record per la missione più lunga di una donna in orbita) e che ha guidato le prime passeggiate spaziali condotte da due donne, assieme a Jessica Meir, anche lei parte della squadra. Kate Rubins, 42 anni, ha volato per la prima volta nel 2016, durante le missioni 48 e 49, a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss), compiendo anche due attività extraveicolari. Laureata in biologia molecolare con un master in biologia dei tumori, è stata la prima a sequenziare il Dna nello spazio. Rubins è decollata il 15 novembre a bordo della Crew Dragon Resilience di SpaceX e si trova attualmente sulla Iss assieme a un altro degli astronauti selezionati, Victor Glover.
Stephanie Wilson, 54 anni, e Joe Acaba (55), sono gli unici ad aver partecipato a missioni spaziali a bordo dello Space Shuttle. Sono anche i più ‘anziani’ del team, che conta un’età media piuttosto bassa. Ben sei hanno meno di 40 anni, le più giovani sono Jessica Watkins (32) e Kayla Barron (33) e non hanno mai partecipato a voli spaziali. Selezionate per il corpo astronauti, infatti, assieme ad altri dieci attendono ancora l’assegnazione per una missione.
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Tante competenze

Non stupisce che la Nasa abbia scelto tra tante competenze diverse. Dai tempi del programma Apollo, quando a guidare una missione di esplorazione dovevano essere soprattutto piloti con addestramento militare, lo spazio è cambiato. Il geologo Harrison Schmitt, nel 1972, fu il primo e unico scienziato a scendere sulla superficie lunare. Ora ci si può permettere molto di più, anche perché le finalità sono molto diverse rispetto a mezzo secolo fa.

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Non saranno missioni “toccata e fuga”, ma c’è la volontà di stabilire un insediamento. Prima in orbita e poi anche sulla superficie, costruendo un Moon Village. Parliamo di missioni che, una volta consolidate, potrebbero durare settimane se non mesi, serviranno per esempio medici a bordo. Tra i 18 selezionati ce ne sono tre: Kim, Rubio e Lindgren. Quest’ultimo ha avuto il ruolo di “chirurgo di volo” a supporto di due missioni spaziali, ha un master in fisiologia cardiovascolare, skill importanti per lo studio di come reagisce il corpo umano alle condizioni difficili create dalla permanenza per lunghi periodi in microgravità. E che possono rivelarsi vitali in momenti di emergenza. Ricordiamo che assieme al nuovo sbarco, procederà anche la costruzione del Lunar Gateway, una stazione spaziale che sarà anche un avamposto più sostenibile in orbita.

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Joseph Acaba e Jessica Watkins sono geologi, proprio come lo è Harrison Schmitt. Saranno loro, probabilmente, a saltellare da una roccia all’altra, martello alla mano, per selezionare le rocce da studiare. Ma avranno anche un compito cruciale: per rendere sostenibile, infine, l’esplorazione, bisognerà ricavare molte risorse estraendole da quell’arido deserto. L’acqua intrappolata nella regolite o ghiacciata sul fondo di crateri mai illuminati dall’ombra e l’ossigeno, ancora, dal terreno, che servirà, un giorno, per costruire insediamenti.

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Come tutti sanno, il giorno sulla Luna dura quanto 15 dei nostri. E altrettanto dura la notte. Significa che l’energia solare non potrà sostenere missioni di lunga durata. Una delle soluzioni che si stanno sviluppando per la Luna e per Marte riguarda l’energia nucleare. Impianti in grado di funzionare anche quando cala il buio. A bordo di Artemis, forse non è un caso, c’è anche un ingegnere nucleare e ufficiale di sottomarino, Kayla Barron. A conti fatti, un team che rispecchia lo slogan americano della nuova frontiera, abbandonata per 50 anni e ora tornata all’orizzonte: “Torniamo sulla Luna per restare”.
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