LOS ANGELES – Il New York Times lo ha incoronato qualche giorno fa “il più grande attore del ventunesimo secolo” (finora). Tra le motivazioni: “Denzel Washington è al di là delle categorie, un gigante dello schermo che è anche un artigiano sottile e sensibile, con una seria formazione teatrale di vecchia scuola e una presenza sfolgorante da star del cinema. Può fare Shakespeare e August Wilson, il cattivo o l’eroe dei film d’azione”. E proprio al drammaturgo afroamericano Wilson (1945-2005) sta dedicando questi anni della sua lunga carriera: si è impegnato a portare sullo schermo dieci sue opere teatrali.
Il primo adattamento è stato Barriere nel 2016 che Washington, 65 anni, ha diretto e interpretato, un Oscar vinto dalla coprotagonista Viola Davis. Il 18 dicembre arriva su Netflix il secondo, Ma Rainey’s Black Bottom, sulla “madre del blues” Ma Rainey. Per il ruolo della protagonista Washington, qui solo in veste di produttore (dirige George Wolfe) ha voluto di nuovo Viola Davis. Il film sarà ricordato di sicuro come l’ultimo di Chadwick Boseman, amatissimo divo di Black Panther morto quattro mesi fa a soli 43 anni dopo una lunga malattia, già indicato da molti come possibile vincitore di un Oscar postumo per questa sua interpretazione di un trombettista intellettuale.
Il film inizia con una sessione di registrazione nella Chicago degli anni Venti, con una band di musicisti che attendono curiosi la cantante. Ma Rainey, in ritardo alla sessione, si scontra con manager e produttore — bianchi — per il controllo della sua musica. Mentre la band aspetta i uno studio claustrofobico, l’ambizioso trombettista Levee (Boseman) spinge ogni collega a raccontare la propria storia. Denzel Washington, due volte premio Oscar come attore, per Glory — Uomini di gloria (1989) e Training Day (2001), ce ne parla su Zoom in collegamento dal suo studio di produzione di Los Angeles.
Da dove proviene la sua passione per il teatro di August Wilson?
«Per noi afroamericani Wilson è Tennessee Williams, Eugene O’Neil e Arthur Miller messi insieme. La pièce Ma Rainey’s Black Bottom la vidi a teatro per la prima volta all’inizio degli anni Ottanta, con “Roc” Dutton nel ruolo del trombettista Levee. Fu così che mi innamorai all’istante di August Wilson. Poi qualche anno fa la vedova mi chiese se avessi voglia di fare film dalle sue opere. Accettai subito. È una grande responsabilità».
Cosa rende Wilson speciale nel mondo della drammaturgia americana?
«Ha una profondità e una ricchezza unici, le sue storie sono scritte splendidamente e i suoi temi sono universali e familiari a tutti noi. Come in Fences (diventato Barriere in Italia, ndr), che parla di tradimento e gelosia. O Ma Rainey, una riflessione sull’incontro-scontro tra idee vecchie e idee nuove».
Sul set ha incontrato spesso Chadwick Boseman?
«Certo, anche se io, come produttore, non stavo sempre sul set ma guardavo spesso a distanza, sul monitor. Chadwick era già malato quando ha girato il film, lui lo sapeva, noi no, e questo è un testamento del suo coraggio. E ha dato tutta la sua energia, senza risparmiarsi. Una persona di grande gentilezza, passione e cuore. Un vero eroe».
Il film sembra anticipare idealmente il movimento Black Lives Matter.
«Non vi è testimonianza senza un test, una prova. E come individui, nazione e mondo siamo stati duramente messi alla prova. Da questi esami, che ricorrono nella Storia, dovremmo interrogarci su ciò che abbiamo imparato. Secondo me, ancora non siamo stati promossi. Dobbiamo ripetere l’esame. Ma le presidenziali qui in America ci fanno sperare. Abbiamo un leader, Biden, che ci fa sentire più uniti come nazione».
Il suo film sarà in streaming, non nei cinema.
«È la vita. Ma non è il mio film, come dice lei, è il film di George Wolfe. Io sono solo il produttore. Come dicevo, sono le cose della vita che cambiano e si evolvono, e ci dobbiamo adattare».
Che programmi ha per Natale?
«A casa con la famiglia, come del resto ogni anno a Natale. L’anno scorso eravamo andati alle Bahamas col nostro amico Lenny Kravitz e la sua famiglia; quest’anno rimarremo qui a Los Angeles per conto nostro, come tutta la California».
Cosa si augura per l’anno nuovo?
«Salute e guarigione per il nostro paese. Pace nel mondo. Una grande dose d’amore e gentilezza. E fermezza nel modo in cui affrontare la pandemia».
Che rapporto ha con la musica, come cineasta?
«La musica è importantissima in ogni film. Una statistica dice che il 40% degli effetti di un film sul pubblico dipende dalla musica. Ma Rainey’s Black Bottom è un film sulla musica, quindi ogni statistica salta. Ma insomma, la musica è ovviamente una parte vitale dell’esperienza cinematografica. E il blues mi accompagna come attore, vi ricordate di Mo’ Better Blues di Spike Lee? Suonavo la tromba, come Chadwick in questo film. E pensare che il blues non fa parte della mia infanzia, non avevo mai nemmeno sentito parlare di Ma Rainey prima di aver visto l’opera di August Wilson. A casa dei miei nonni e di mio padre si ascoltava solo musica religiosa».
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