ROMA – Decalogo (obbligatorio) del Csm per i procuratori della Repubblica. Sono i potenti titolari dell'azione penale a cui adesso l'organo di governo autonomo della magistratura toglie decisamente un po' di discrezionalità dettando rigide regole di comportamento su ogni aspetto dell'organizzazione dell'ufficio e la conduzione delle indagini. Ci ha lavorato tutta la settima commissione del Consiglio (Pepe, Donati, Basile, D'Amato, Suriano, Ciambellini) e tra gli estensori figurano anche Micciché e Dal Moro. Tutte le correnti insomma. E dovrebbe finire anche con un voto all'unanimità, anche se Nino Di Matteo propone delle modifiche che si riserva di illustrare e motivare durante la discussione.
Ma in cosa consiste la riforma? Detto in due parole, per capirci, potremmo chiamarla il vademecum di cosa può fare, e cosa non può fare, un procuratore della Repubblica nel suo ufficio. Più brutalmente: il Csm stabilisce come deve comportarsi il capo di una procura, automaticamente delimitando i suoi compiti, e quindi anche i suoi poteri. Sicuramente aggrava la sua rendicontazione burocratica. Ma lo obbliga anche, con i suoi vice, a fare indagini e non solo a guidare i colleghi. Perché, "seppure compatibilmente con le dimensioni dell'ufficio e dei compiti di direzione e coordinamento nonché dei carichi di lavoro", anche i capi e i vice capi non potranno essere sganciati dal lavoro ordinario. Per loro ci sarà "un'obbligatoria riserva di lavoro giudiziario".
Una mossa, quella del Csm, che anticipa sui tempi il Guardasigilli Alfonso Bonafede che, sullo stesso tema, ha scritto un capitolo nella sua legge sulla riforma del processo penale che marcia con tempi biblici alla Camera, i cui scopi però sono già sunteggiati, e quindi ritenuti strategici, nel piano dell'Italia per guadagnare e spendere i 196 miliardi di euro del recovery fund.
Ma partiamo da un parterre di giudizi. Ecco quello di Giuseppe Marra, il consigliere "davighiano" di Autonomia e indipendenza. "È un testo molto importante perché, in estrema sintesi, detta regole più stringenti per l'attività dirigenziale dei procuratori, che non potranno più fare, senza motivazione adeguate, il bello e il cattivo tempo nei loro uffici, anche se la legge gli riconosce la titolarità dell'azione penale".
Un parere che non è affatto diverso la quello di Antonio D'Amato, componente della settimana commissione, toga di Magistratura indipendente, componente della commissione, alle prese con piccoli aggiusti del testo: "Abbiamo voluto ancorare le scelte del procuratore a criteri di trasparenza e conseguente motivazione, allorquando individua i suoi collaboratori fra i sostituti per affidargli degli incarichi. In questo modo si è voluto scongiurare il rischio delle cosiddette medagliette costruite su sostituti 'vicini' allo stesso procuratore per favorirli nel percorso professionale, trattandosi di medagliette utili in sede di successiva valutazione per possibili incarichi direttivi o semidirettivi".
Due giudizi che confermano quanto il decalogo sarà impegnativo e destinato a cambiare la vita degli uffici. Ma leggiamo cosa c'è scritto nella relazione che accompagna il testo, definito come una "rivisitazione e parziale riformulazione" di quello del novembre 2017 che, a sua volta, integrava i precedenti del 2007 e del 2009, tutti figli della riforma dell'ordinamento giudiziario del governo Berlusconi, allora Guardasigilli il leghista Roberto Castelli, poi diventato legge con il successore, l'ex Dc Clemente Mastella. Il Csm ci rimette mano perché "sono in gioco attribuzioni che concorrono ad assicurare il rispetto delle garanzie costituzionali".
Cosa cambia e cosa dovranno fare da domani i procuratori in base al vademecum che si risolve in oltre 60 pagine di nuove regole? La mossa del Csm impone ai capi degli uffici una totale e maggiore trasparenza in tutte le scelte, da quella dei procuratori aggiunti, a quella di indicare uno piuttosto che un altro pubblico minestero per seguire un'indagine, nonché anche per costituire i singoli gruppi di lavoro. Il capo dovrà ricorrere al cosiddetto "interpello", cioè sentire democraticamente tutti prima di costituire un gruppo. E qualora dovesse fare una scelta anomala, una deroga rispetto alle regole in vigore, dovrà motivarlo per iscritto e dettagliatamente al Csm. Dovrà spiegare, insomma, perché ha privilegiato un collega piuttosto che un altro. Una regola che, evidentemente, limita l'autonomia del procuratore in ogni sua mossa. Come non bastasse questo procuratore, nonché i suoi vice, dovranno anche lavorare alle indagini, cioè non basterà fare "il capo", bisognerò anche fare concretamente delle indagini.
Tutto questo perché, come scrive la settima commissione, "l'organizzazione degli uffici di Procura deve essere finalizzata a garantire l'esercizio imparziale dell'azione penale, la speditezza del procedimento e del processo, l'effettivita? dell'azione penale, l'esplicazione piena dei diritti di difesa dell'indagato e la pari dignita? dei magistrati che cooperano all'esercizio della giurisdizione: beni giuridici costituzionalmente rilevanti la cui effettiva tutela si realizza immancabilmente attraverso un uso imparziale e consapevole della leva organizzativa che deve essere utilizzata secondo criteri trasparenti e verificabili".
Per essere espliciti, il Csm vuole vederci chiaro sul perché un procuratore si batte per un procuratore aggiunto – che comunque viene scelto dal Csm – o affida una certa indagine, perché se è vero che "la responsabilita? delle scelte organizzative compete al procuratore", è altrettanto vero che "la verifica della rispondenza delle opzioni in concreto adottate alle ragioni di quella attribuzione e? compito irrinunciabile del governo autonomo".
Per tutte queste ragioni il Csm chiede ai procuratori di presentare "documenti chiari, trasparenti, articolati" rispetto alle assemblee interne e soprattutto che le assemblee stesse si svolgano veramente, visto che da un alcuni verbali mandati a Roma sembra trapelare invece che prese d'atto e accettazioni sarebbero giunte solo a cose fatte. La regola aurea per scegliere i magistrati sarò l'interpello, una sorta di consultazione interna su "chi vuole fare cosa". Ugualmente il capo dell'ufficio non sarà più il sovrano unico delle assegnazioni dei singoli pm alle Direzioni antimafia, i gruppi che lavorano sulla criminalità organizzata. Anche in questo caso, scrive il Csm, il procuratore che "rinnova o non rinnova" un incarico dovrà "motivarlo espressamente" e "comunicarlo a tutti i magistrati dell'ufficio" che, se bocciati ed esclusi, potranno presentare le loro contro deduzioni. Ovviamente di tutto questo dovrà essere informato il Consiglio giudiziario, la longa manus del Csm in sede locale, che potrà esprimere il proprio parere. Infine il procuratore, nell'organizzare l'ufficio, dovrà guardare anche oltre le sue stanze, verso quelle dei tribunali dove i suoi processi poi andranno in udienza.
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