AGI – Dal 2010 al 2019 i "lavoratori poveri" sono aumentati del 12% nell'Unione europea dal 2010 al 2019: circa un lavoratore europeo su dieci (9,4%) è sceso al di sotto della soglia di rischio povertà di Eurostat (cioé con redditi inferiori al 60% della media della popolazione). Secondo una indagine dei sindacati europei, su dati Eurostat, in Italia i lavoratori considerati poveri sono passati dal 9,5% al 12,2% della popolazione lavorativa, con un aumento del 28%.
Aumenti maggiori sono stati registrati in Ungheria (58%), Regno Unito (51%), Estonia (43%). Rialzi di appena l'1%, invece, in Svezia e Austria.
I giovani, i lavoratori migranti e quanti hanno contratti a tempo determinato – spiega la ricerca della Confederazione europea dei sindacati "Benchmarking Working Europe 2020" – sono i più colpiti, anche se si sono registrati aumenti per ogni categoria di lavoratori compresi quelli con orario a tempo pieno e con contratto a tempo indeterminato.
Secondo lo studio, solo quattro Stati membri hanno salari minimi legali al di sopra della soglia salariale considerata a rischio di povertà.
La Ces avanza quindi una serie di richieste per far uscire i lavoratori dalla povertà: impedire che il salario minimo venga fissato al di sotto della soglia di povertà; divieto di erogare fondi pubblici ad aziende che rifiutano ai propri lavoratori il diritto alla contrattazione collettiva; porre fine all'esclusione di alcune categorie di lavoratori, come i collaboratori domestici o i giovani, dal salario minimo stabilito per legge.
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