"OGNI TANTO tanto mi chiedo cosa mai stiamo aspettando" chiedeva Ann Deverià nel romanzo di Alessandro Baricco 'Oceano Mare', ricevendo come risposta uno sconfortante: "Che sia troppo tardi, madame". A oltre un anno dallo scoppio della pandemia, l’annuncio della costituzione di una task force di esperti, chiamata a ricostruire la catena di eventi che hanno portato al salto di specie del nuovo coronavirus, aggiunge un nuovo capitolo alla gestione romanzesca dell’emergenza da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità.
La caccia
Dal novembre del 2019 a oggi, le persone entrate in contatto per prime con il virus sono guarite o decedute, circostanza che complica terribilmente questa caccia al tesoro rovesciata. La possibilità che il ritardo vanifichi gli sforzi è evidente agli stessi esperti, tutti di grande spessore scientifico, come dimostra la dichiarazione prudente rilasciata a Nature da Fabian Leendertz, veterinario del Robert Koch Institute di Berlino, tra i massimi esperti di Ebola: "Tutti noi siamo consapevoli che non vi è la garanzia di riuscire a ricostruire in maniera inattaccabile la vicenda".
L'indagine mira infatti a scoprire come e quando sia avvenuto il salto di specie, cioè come e quando il coronavirus Sars-CoV-2 ha infettato per la prima volta un essere umano. Nella narrazione sempre incerta delle zoonosi, le prove finora a disposizione individuano, con un certo grado di sicurezza, il serbatoio naturale del virus nei pipistrelli.
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Da qui in poi, la trama si infittisce, tornando a dipanarsi solamente alla sua conclusione: sebbene nelle scorse settimane alcuni studi abbiano messo in dubbio l’epicentro, i primi casi finora certi di una polmonite di origine ignota, riconducibili a quello che di lì a poco sarà identificato come Covid-19, risalgono alla fine di novembre del 2019 e riguardano negozianti e avventori del cosiddetto wet market di Wuhan, in Cina. Tra questi due eventi, gli esperti dovranno tentare di ripercorrere la catena di trasmissione – che potrebbe non essere lineare ma prevedere uno o più ospiti intermedi oggi sconosciuti – sulla base di interviste, campioni biologici dell’epoca, analisi di laboratorio, indagini ambientali, dati genomici e, ovviamente, passare al setaccio le diverse migliaia di articoli scientifici pubblicati dallo scoppio della pandemia a oggi.
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La task force
La task force lavorerà a stretto gomito con ricercatori cinesi nonché con esperti di diverse agenzie internazionali e inizierà la ricerca a Wuhan per poi spingersi nelle aree rurali circostanti. L’obiettivo non è individuare il paziente zero, cioè la prima persona infetta, né un ipotetico pipistrello zero, anche perché è inverosimile che vengano trovati. Piuttosto, il loro raggio di azione si estenderà all’ecosistema – biofisico ma anche virale – in cui è avvenuto il salto di specie per comprendere cosa possa favorirne di nuovi: in meno di vent’anni, tre coronavirus hanno già fatto il salto di specie dando origine ad altrettante malattie potenzialmente pandemiche: Sars, Mers e ora Sars-CoV-2. Non a caso, oltre al già citato Leendertz, fanno parte della squadra la virologa Marion Koopmans dell'Erasmus University Medical Center di Rotterdam e l’epidemiologo Elmoubasher Farag del Ministero della sanità a Doha, entrambi in prima linea nello studio della Mers.
Due gruppi di lavoro
Quello dell’Onu non è tuttavia l’unico gruppo di esperti costituito ad hoc in queste settimane. In anticipo di quasi due mesi rispetto all’organizzazione internazionale, a metà settembre anche la rivista The Lancet ha istituito una propria squadra che sarà coordinata dallo zoologo britannico Peter Daszak, presidente della ong Ecohealth Alliance. Daszak, che non a caso figura in entrambe le taskforce, è considerato il massimo esperto mondiale di virus trasmessi dai pipistrelli e ha già lavorato con il Wuhan Institute of Virology per studiare il potenziale di diffusione di Sars-CoV-2 tra le persone.
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Il team del Lancet non raggiungerà i colleghi in Cina ma si ‘limiterà’ alla già citata revisione della letteratura scientifica su Covid-19, adottando un approccio multidisciplinare. Anche così, lo sforzo si preannuncia gravoso considerata la sterminata produzione scientifica dell’ultimo anno ma, soprattutto, rischia di non soddisfare quella sete di certezze di cui il mondo soffre. In un’intervista all’edizione statunitense di Wired, Daszak ha sottolineato il netto discostamento tra le aspettative collettive e il metodo scientifico. “Le persone sono convinte che basti una lente d'ingrandimento per trovare la cosiddetta pistola fumante. Ma la scienza non funziona così. Non saremo mai in grado di spingerci oltre il ragionevole dubbio sulle origini di Covid-19".
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